Il pubblico presente alla conferenza della federazione bancaria europea, tenutasi lo scorso 29 novembre a Bruxelles, non poteva sperare in un presa di posizione migliore da parte del commissario europeo ai servizi finanziari, Valdis Dombrovskis, che da quel palco ha voluto rassicurare i presenti sulla ferma opposizione della Commissione all’introduzione di nuove e più stringenti regole per le grandi banche attualmente in discussione al comitato di Basilea, il club di banchieri centrali e regolatori nazionali che detta gli standard della governance bancaria internazionale. La Commissione non accetterà alcuna nuova riforma che possa comportare “un significativo aumento dei requisiti di capitalizzazione delle banche” tali da gravare sulle spalle del settore bancario europeo e che possa minarne la competitività internazionale. Il commissario e vice presidente della Commissione sposa così apertamente la causa della federazione bancaria europea e dei grandi gruppi bancari del Continente che da mesi stanno concentrando le loro pressioni su Basilea proprio per far saltare i nuovi piani di regolamentazione caldeggiati in particolare da Stati Uniti e Svizzera.
Si apre così il solco di una frattura che divide Unione europea e Giappone dagli altri grandi centri finanziari internazionali nei tavoli del comitato di Basilea sulla proposta di riformare il sistema di valutazione dei rischi potenzialmente incorsi dalle banche a partire da cui calcolare i requisiti minimi di capitalizzazione. Tali requisiti minimi, contenuto primario degli accordi di Basilea, servono a costituire un “cuscino” di protezione necessario a far sì che le banche possano assorbire eventuali perdite future in situazioni anche prolungate di crisi senza dover ricorrere a salvataggi pubblici dalle tasche della collettività. L’attuale accordo di Basilea III, nonostante l’imposizione di più alte soglie di capitale e stringenti requisiti di liquidità per le banche, si pone in perfetta continuità con il sistema di regole in vigore prima della crisi (da numerosi commentatori considerato fra le cause maggiori dell’allegra deregolamentazione della finanzia che ha condotto alla crisi) in particolare per il doppio sistema di calcolo dei rischi bancari. In breve, secondo questo sistema le banche piccole e medie devono attenersi a un modello di valutazione dei rischi standard, stabilito dal comitato di Basilea e uguale per tutti, mentre ai grandi gruppi bancari internazionali (che coincidono con le banche too-big-to fail, “troppo grandi per fallire”) è concesso di elaborare modelli di calcolo dei rischi interni che, sebbene anch’essi vincolati ad alcuni standard e monitorati dalla supervisione della BCE, consentono alle grandi banche un ampio margine di manovra nell’adattare la valutazione dei propri rischi ai requisiti di capitale ritenuti sostenibili per il proprio business.
La proposta di riforma intavolata a Basilea intende proprio limitare (non abolire) tale discrezionalità stabilendo un livello minimo al di sotto del quale una banca non possa far diminuire i propri requisiti di capitalizzazione attraverso l’uso del metodo interno di valutazione dei rischi. Un vincolo che imporrebbe alle banche che avessero sforato quella soglia minima di innalzare la propria capitalizzazione, con costi appunto non indifferenti. In una lettera indirizzata al comitato di Basilea e visionata dal Financial Times, la federazione bancaria europea mette in guardia i regolatori dagli effetti di questa “revisione” che costerebbe alle banche dell’Unione qualcosa come 850 miliardi di euro: un costo che, in una previsione economica che serve allo stesso tempo da minaccia verso i regolatori, si tradurrebbe in un’ulteriore contrazione del finanziamento dell’economia reale da parte del settore bancario.
Ma gli sforzi delle grandi banche europee contro le nuove regole possono contare su un alleato di primo piano come la Commissione, in una battaglia su cui si gioca la tenuta della fragile architettura del sistema bancario europeo, le cui fondamenta traballano sull’orlo di una possibile futura crisi sistemica. Oggi Deutsche Bank, la prima banca tedesca e allo stesso tempo “primo rischio sistemico” per la finanza internazionale secondo il Fondo monetario internazionale, registra un’altra perdita del 9%, continuando a sprofondare in una spirale avviata dall’aprile 2015, dopo la pesante multa da 2,5 miliardi di euro inflitta dalle autorità americane e britanniche per lo scandalo Libor, e un 2016 che ha visto drasticamente dimezzare il titolo in borsa dall’inizio del 2016. La seconda banca tedesca, Commerzbank, ha annunciato tagli per oltre 10.000 posti di lavoro per recuperare le ingenti perdite subite negli scorsi mesi, contribuendo ad aumentare le incertezze sui mercati finanziari europei. Nel frattempo, in Italia, il Monte dei Paschi e Unicredit – con i loro miliardi di crediti deteriorati (non-performing loans) e le trattative ancora in corso a Bruxelles per un loro salvataggio, continuano a rappresentare due vere e proprie bombe ad orologeria per l’intera eurozona.
L’iniziativa di revisione di Basilea III da parte degli Stati Uniti diventa così una buona occasione per assestare un duro colpo alla competitività delle banche europee. Dietro la partita di quello che è già stato ribattezzato l’accordo di “Basilea IV” si apre così un nuovo scontro fra capitali finanziari, in particolare quello americano ed europeo, che vede il secondo in una posizione di debolezza e fragilità estreme. Una fossa scavata negli anni della risposta alla crisi finanziaria e a quella dei debiti sovrani dalle grandi banche europee, dalla Germania e dalla Troika. Un mix micidiale fatto di mancate e troppo morbide riforme nella governance bancaria (basti ricordare, fra le altre, la mancata separazione fra banche commerciali e di investimento, la mancanza di un sistema di garanzia dei depositi a livello europeo e di un efficace fondo di risoluzione per le banche nel quadro dell’Unione bancaria) e delle invece per nulla morbide riforme strutturali imposte dal nuovo sistema di regole della governance macroeconomica e fiscale europea che hanno innescato e aggravato la Grande Recessione, con cumuli crescenti di crediti deteriorati e scarni margini di profitto delle banche quali espressione di un’economia reale martoriata dalle politiche di austerità.
Dombrovskis potrà anche fare la voce grossa contro Basilea, ma sorge qualche dubbio sul fatto che gli investitori internazionali dopo questa sortita possano effettivamente considerare le banche europee “affidabili”. Sei anni fa il commissario ai servizi finanziari Barnier si metteva alla testa del programma riformatore per rimettere le redini alle banche, mettendosi “contro le banche” per farle tornare al servizio dell’economia e dei cittadini, come ripeteva spesso con non poca esagerazione retorica. Dopo 6 anni di riforme siamo di nuovo sull’orlo di una prossima crisi finanziaria europea e globale. Ma adesso la soluzione della Commissione è farsi apertamente portavoce delle stesse grandi banche che di quella e della prossima possibile crisi sono responsabili, senza rimettere in discussione il proprio approccio complessivo alla governance economica europea. Siamo in buone mani.
Giuseppe Montalbano è PhD in Teoria e Scienza politica all’Università LUISS Guido Carli, specializzato nello studio del lobbying e della governance economica e finanziaria dell’UE.