Roma – “Aiutare le persone che scappano dalla morte è un dovere morale”. Tuttavia, per il presidente slovacco Andrej Kiska, “il sistema di quote” obbligatorie per la redistribuzione dei rifugiati tra gli Stati membri dell’Ue “è una proposta infelice” e “non fa che rafforzare l’estremismo nei nostri paesi”. In visita a Roma per inaugurare con il suo omologo Sergio Mattarella la mostra ‘Splendori gotici della Repubblica slovacca’ – aperta da domani al 13 novembre presso la Palazzina Gregoriana del Quirinale – Kiska è allineato alla posizione del suo primo ministro Robert Fico, che considera “politicamente finite” le quote, e all’opposizione espressa dal Gruppo Visegrad, di cui la Slovacchia fa parte insieme con Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria.
Incontrando i giornalisti a margine delle sue visite istituzionali, il capo dello stato di Bratislava non ha espressamente escluso l’ipotesi di un referendum sulle quote, come quello su cui domenica si esprimeranno i magiari, ma a chi chiedeva se ritenga possibile una simile consultazione nel suo Paese ha risposto che “molte persone e molti politici hanno una visione differente da quella di Orban, e io sono tra queste”. E come a marcare ulteriormente le distanze, ha sottolineato che anche “il governo slovacco è pro Unione europea e pro Nato” prima di tutto.
Ci sono differenze, dunque, tanto è vero che Kiska invita a “non considerare l’opinione di due politici del Gruppo di Visegrad (lo stesso premier Victor Orban e il leader del partito di governo in polonia, Jarosław Kaczyński, ndr) come l’opinione del Gruppo di Visegrad”. Ma di quote obbligatorie per l’accoglienza dei rifugiati non ne vuole sentir parlare. “Dobbiamo farle su base volontaria”, ha ripetuto.
Considera “i confini italiani come confini slovacchi, possiamo dire confini dell’Unione europea”. È consapevole che se domani, nella vicina Ucraina, dovesse esserci un’escalation di violenza “e arrivassero 100, 200 o 400mila ucraini in Slovacchia, noi chiederemmo aiuto e non saremmo in grado di affrontare da soli l’emergenza”. Ma anche queste considerazioni non bastano a convincerlo dell’opportunità di quote obbligatorie. La massima concessione è che, “da Paese moderno, possiamo dire: ‘offriamo questo aiuto’”, ma sempre su base volontaria.
Anche sulla proposta italiana del migration compact Kiska si è mostrato freddo. Ha glissato sulle difficoltà registrate dai 27 anche in merito agli accordi con i Paesi africani per limitare i flussi migratori in arrivo nell’Ue. Ha preferito piuttosto sottolineare l’importanza dei progressi fatti a Bratislava in tema di difesa comune, “che sta diventando sempre più concreta”. Ricordando che la sua visita a Roma è stata occasione per visitare il quartier generale dell’operazione Sophia, ha indicato che la missione Ue contro gli scafisti nel Mediterraneo “è esattamente l’esempio di come dovremmo lavorare insieme”. Sulla difesa, sembra suggerire Kiska, si può trovare quel terreno comune che sull’immigrazione semplicemente non esiste.