Convocare il vertice a 27 di Bratislava forse è stato un errore. Non potevano che sortirne due risultati: una felice unità sul niente, tanto per dire ai cittadini “siamo forti, l’abbandono di Londra non ci preoccupa”, oppure, come è successo, una forte divisione su un niente però diverso, perché pretenzioso.
Il primo risultato però era obiettivamente difficile. Come scrive Riccardo Perissich su Affari Internazionali: “… se leggiamo attentamente i sondaggi, vediamo … che la disaffezione verso l’Ue è dovuta a una moltitudine di ragioni fra cui primeggia la mancanza di risultati concreti delle decisioni che vengono annunciate con gran fracasso”. In realtà questo era un punto che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk aveva evidenziato nella sua convocazione dei leader a Bratislava, ma lo aveva fatto con retorica, senza porsi la questione del “bene, non andiamo lì a fare gli ottimisti sul nulla, ma in concreto cosa porteremo fuori?”.
La riunione, in sostanza non è stata preparata, ne è uscito un documentino scarno, sostanzialmente ripetitivo di promesse e impegni presi mille volte ma mai realizzati, pieno di lacune. Scioccamente si è pensato di arrivare ad un’unità che era impossibile, gli Stati, e la dimensione intergovernativa conta e conterà, non erano pronti, anche perché non gli era stato offerto alcun progetto. Però si sapeva, sapevano tutti delle posizioni del Gruppo di Visegrad, dell’Italia, di altri che se ne sono stati zitti forse per questo vivere o per esasperazione.
In più l’errore è stato quello di non rendersi conto che nei prossimi dodici mesi sarà disegnata un’Europa diversa da quella che conosciamo oggi, inevitabilmente. In Germania il prossimo governo sarà diverso da questo. Magari Angela Merkel resterà alla guida, ma le forze che lo comporranno avranno un bagaglio diverso da quello di oggi. In Francia, al momento, neanche un bambino scommetterebbe di ritrovare François Hollande all’Eliseo, in Italia i risultati del referendum avranno certamente cambiato i rapporti di forza, Renzi sarà fortissimo o fortissimamente indebolito. In Spagna chissà che maggioranza si riuscirà a combinare, con un Mariano Rajoy che rischia di essere travolto dall’ultimo scandalo di corruzione. Per non dire poi l’Austria, l’Olanda eccetera. Il tutto mentre, realisticamente, il negoziato Brexit sarà in pieno svolgimento (anche se quelli che sperano non parta più continuano ad esserci).
Ora tutti i leader si stanno posizionando, stanno giocando carte decisive per il loro futuro e quello dei loro Paesi.
Dunque Renzi ha fatto bene a far saltare il tavolo. Lui è il primo ad avere l’appuntamento decisivo, sarà il primo a sapere se è un vincente o no, sarà dunque il primo a sapere quanto peserà in Europa nel prossimo anno. Perché mischiarsi con dei “perdenti”? Perché anche Merkel, in questo periodo, se dire che è perdente forse è eccessivo, è debole come mai prima. Perché accettare un documento (non i Principi generali, condivisibili ed infatti condivisi anche dal presidente del consiglio, ma la Roadmap) che non lo soddisfa e che probabilmente resterà in gran parte lettera morta? Poi sa che più si avvicina la campagna elettorale tedesca più rischia di essere attaccato da Merkel, e dunque perché offrirle il fianco?
Nei riguardi della Commissione poi il gioco potrebbe essere simile a quello giocato anche in passato: alzare i toni, creare una situazione traballante, per poi recedere quando sarà arrivato il via libera alla manovra di bilancio, che anche quest’anno sarà difficile da far digerire.
Renzi se vincerà il referendum sarà il leader più forte tra i grandi Paesi dell’Unione nei mesi successivi, nei quali, tra l’altro, si dovranno cambiare o confermare le poltrone dei presidenti del Parlamento e del Consiglio europeo. Probabilmente ha deciso di giocare questa partita che comunque, visto il “documenticchio” uscito da Bratislava forse è la partita giusta.
Rispondere alla sfida politica della Brexit non deve e non può essere un gesto d’istinto, la risposta va costruita bene, con una serio lavoro tecnico e politico, che fino ad oggi non è stato condotto. L’appuntamento finale di questa prima fase di presa di coscienza e rilancio sarà a Roma, a marzo, nel pieno delle campagne elettorali in Francia e Germania e all’alba, si spera, del negoziato Brexit. Non sarà un momento straordinariamente favorevole, ma proprio per questo invece si potrebbe pensare ad uno sforzo grande, innovativo, onesto e non retorico perché le risposte dovranno essere concrete. Forse Renzi (con qualche cinismo?) pensa di poter essere il grande regista del “Rilancio di Roma”.