Guardiamo l’Europa del 2016, lacerata da spinte nazionaliste sempre più forti: non avevano forse già capito tutto? I padri fondatori. Sotto le bombe della seconda guerra mondiale quel gruppo di trentenni aveva già capito che la linea tra conservatori e progressisti scorreva lungo il confine della maggiore o minore difesa dei meri interessi nazionali. Quell’idea è ancora valida. L’idea dei padri fondatori, espressa nel Manifesto di Ventotene, è valida più che mai. E non soltanto per gli ideali di pace e di libertà kantiana cui si ispirarono i suoi estensori: Spinelli, Rossi, Colorni, Hirschmann. Ma anche per l’incredibile modernità politica di cui il Manifesto era ed è portatore. Mi domando quanti tra coloro che sono, almeno in teoria, alla guida della nostra Europa conoscono il pensiero di Kant, il vereinigter Wille des Volkes, la sua idea di rappresentanza, o in generale la sua filosofia politica, in modo da poterla criticare o da poterne trarre ispirazione. Credo e spero che sappiano che l’Europa di oggi è anche figlia dell’ideale di “pace perpetua” che, appunto, Kant descriveva più di due secoli fa. Ma la questione non è solo questa: oggi i leader politici sono condizionati in tutte le decisioni dall’indice di gradimento interno. Ecco, ritengo che – per restare a Kant – molti capi di stato non abbiano più il coraggio di servirsi della “ragione”, ma si affidino a novelle forme di “superstizione”, si lascino abbindolare dai sondaggi dei quali sono ormai completamente schiavi, barattando la visione politica generale per qualche decimale in più.
Nel Manifesto di Ventotene gli Stati Uniti d’Europa sono considerati una tappa intermedia per la realizzazione di un’unione e di un governo mondiale. Sono passati molti anni e l’unione politica sembra essere ancora un tabù. Il punto è che fin dall’allargamento a Est, sancito dal vertice di Nizza nel dicembre del 2000 ci si è preoccupati più di litigare su come andavano ridistribuiti i voti in Consiglio, piuttosto che interrogarsi su quali sfide democratiche e culturali avrebbe portato con sé la riunificazione di un continente spaccato per decenni dalla Cortina di Ferro. Sembrano cose lontanissime, ma la Brexit ha molto a che vedere con la sottovalutazione dell’impatto dell’apertura ad est, ad esempio.
Gli Stati Uniti d’Europa sono spariti a lungo dal dizionario politico europeo. Il progetto degli Stati Uniti d’Europa composto da 27 Stati, al momento è difficile da realizzare. Difficile ma non impossibile. Basta guardare come è andato a finire il vertice di Bratislava per averne un’idea. Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, in occasione del conferimento del premio Alcide de Gasperi, nel suo discorso ha detto che “Le sfide comuni andranno affrontate con strategie sovranazionali anziché intergovernative” e ha citato De Gasperi “dal 1919 al 1939 sono stati conclusi circa settanta trattati intergovernativi e tutti si sono ridotti a carta straccia quando si è dovuti passare alla loro attuazione, perché mancava il controllo congiunto delle risorse comuni”. Dal 1939 ad oggi non è cambiato molto. Carta su carta per migliaia di pagine per disciplinare l’integrazione economica. Neanche una per fissare il punto, inseguire una visione. Il Presidente del Consiglio riferendosi al documento approvato nel vertice di Bratislava lo ha definito “senza anima e senza orizzonte” e dalle pagine del Corriere della Sera ha aggiunto “la sfida sarà marzo 2017, quando a Roma festeggeremo i 60 anni dell’Unione europea: come ci presentiamo davanti ai concittadini di tutto il continente? Spiegando che l’Europa dei padri fondatori è diventato un noioso club di regole finanziarie e algoritmi tecnici? O restituendo un’anima alla visione europea?” Europa significa “colei che ha un ampio sguardo”. Sguardo, visione, orizzonte, strategia: dobbiamo recuperare il senso anche etimologico dell’Europa. Ci guadagneremo noi europei, ma e anche chi vive fuori dai nostri confini. Perché ciò sia possibile dovremmo essere vera unione. A questo punto, forse, è comprensibile che si discuta l’idea di creare un anello ristretto di Stati disposti a cedere definitivamente sovranità. A proposito di padri dell’Europa: Jean Monnet diceva che “l’Europa o si fa nelle crisi o non si fa”. Otto è il titolo di questo articolo. L’ottavo di una serie di articoli dedicati a delle conversazioni, più o meno politicamente scorrette, con chi ancora crede nella bellezza dell’idea di Europa e nella necessità pratica degli Stati Uniti d’Europa.
L’ottava conversazione è con Eva Giovannini. Sono cresciuta negli anni ottanta, gli anni in cui cadeva il muro di Berlino, si apriva l’era della glasnost e alla nostra radio Gianna Nannini dedicava “Ragazzo dell’Europa” a chi non piantava “mai bandiera”. Per me l’Europa è un ideale, è il perimetro della mia identità, è l’orizzonte valoriale di riferimento. Identità. Europa è democrazia, progresso, scienza, uguaglianza tra uomini e donne, libertà di avere un credo o di non averne alcuno, è il rispetto dello stato di diritto. Questa è l’identità europea che mi rappresenta, non certo il colore della pelle o l’appartenenza a un culto. Di mestiere fa la giornalista. Nel mio piccolo, da alcuni anni a questa parte cerco, come cronista, di raccontare le inquietudini europee senza pregiudizi. Come inviata di Raitre da Idomeni ha raccontato le storie dei profughi, ha visto innalzarsi le barriere e ha documentato l’insorgere di tendenze nazionaliste. Cerco di capire cosa muove così tante persone a dare fiducia a partiti e movimenti che disprezzano l’Europa e offrono soluzioni facili a problemi complessi. Di recente ha scritto un libro “Europa Anno Zero – Il ritorno dei Nazionalismi”. Capire le paure dell’elettorato è il primo passo per incidere su certe tendenze. Da quando è uscito “Europa Anno Zero”, poi, attraverso in lungo e in largo l’Italia per parlare d’Europa, soprattutto nelle scuole e nelle università. La generazione dei “nativi europei” è – paradossalmente – la meno attaccata al sogno di un’Europa unita. Forse non tutta la generazione. Ci sono moltissimi giovani, li abbiamo conosciuti con Costituzionalmente, tanti se ne incontrano al Bar Europa e con alcuni ho avuto il privilegio di poter conversare in questo blog, che sanno bene quale Europa non gli piace e quale gli piace. Che distinguono la brutta faccia dell’Europa da quella bella. Che protestano contro quella brutta e di quella bella ne vogliono di più. Al riguardo è molto interessante la proposta del presidente del Partito Popolare Europeo al Parlamento europeo, Manfred Weber, di far viaggiare gratuitamente con un biglietto interrail i diciottenni europei. Mi piacerebbe essere così ottimista e pensare che un biglietto interrail possa essere il miglior biglietto da visita per le nuove generazioni. Ma guardo i numeri: tra i diciottenni il primo partito in Italia, ma anche in Francia, è l’astensione, mentre la forza politica più votata è rispettivamente il Movimento5Stelle è il Front National. Non esattamente due partiti europeisti. Hai ragione. Non sarà il biglietto interreail a fare gli europei ma è una proposta, che ha trovato anche il sostegno del nostro Primo Ministro, facile da realizzare che potrebbe, da sola o assieme ad alcune delle iniziative provocatoriamente indicate dal bravissimo Federico Dinelli, “favorire l’integrazione dal basso, ovvero la creazione di un popolo europeo”.
Da oggi Eva è componente della commissione di “euro saggi” che dovrà analizzare i risultati della consultazione popolare indetta per sei mesi sul sito di Montecitorio. Non c’è bisogno che le chieda in che modo intenderà partecipare ai lavori della commissione di cui fa parte. Proverò a dare il mio contributo alla stesura di un testo di proposte sull’Unione europea, a partire proprio dalle istanze popolari che sono emerse dalla consultazione popolare. L’Europa è percepita come un’entità fredda e distante: è arrivato il momento di provare a ricucire questo strappo. Domani, è già tardi. Buon lavoro!