Bruxelles – L’Unione europea non è perfetta, ma non abbiamo niente di meglio, dunque individuati i difetti bisogna tentare di correggerli ed andare avanti. È a grandi linee questo il risultato della seduta di auto-diagnosi collettiva che i capi di Stato e di governo dell’Ue (Regno Unito escluso) hanno tenuto a Bratislava. Una giornata di “discussione franca sulle cause e sulla situazione politica in Europa”, l’ha definita il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, al termine della quale “tutti i leader sono determinati a correggere gli errori e a trovare soluzioni comuni” alle debolezze individuate. Tra queste ad esempio “il fatto che migliaia di europei si sentono insicuri, vedono una mancanza di controllo, hanno paura dell’immigrazione, del terrorismo e del futuro economico e sociale”. Di fronte a questo, assicura Tusk, i leader hanno concordato che non si può “continuare con il business as usual” e hanno messo a punto “una road map che stabilisce obiettivi comuni”.
Tra questi la determinazione a “non permettere mai il ritorno di flussi migratori incontrollati e ad avere il pieno controllo dei confini restaurando Schengen”, spiega Tusk, elencando anche la comune decisione di andare avanti sull’accordo con la Turchia e il Migration Compact, di cercare di migliorare la cooperazione in materia di sicurezza interna, lo scambio di informazioni contro il terrorismo, il lavoro comune sulla difesa, di lavorare per aumentare gli investimenti e dare migliori opportunità ai giovani. Questo “spirito di Bratislava”, garantisce il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, guiderà i leader nei mesi a venire, nel corso dei consigli europei formali ma anche nel corso degli informali già programmati a Malta a inizio 2017 e a Roma in marzo. “Spero che porterà ad un rinnovo della fiducia nell’Ue e mostrerà ai cittadini la nostra leale cooperazione”, auspica il capo dell’esecutivo Ue, secondo cui “il lavoro dell’avvenire farà vedere a che punto abbiamo saputo trovare un’intersezione tra i punti di vista degli uni e degli altri”.
Per il momento insomma si sottolineano i punti di unione, glissando elegantemente sulle differenze di visione che rimangono evidenti tra i leader. I vertici delle istituzioni Ue non fanno riferimenti allo scontento del premier italiano, Matteo Renzi, che riparte da Bratislava dicendo che molto di più si doveva fare su crescita e immigrazione, né sulle linee rosse fissate dal gruppo di Visegrad che ha ribadito che mai concorderà con qualsiasi redistribuzione obbligatoria di rifugiati. “Ci siamo messi d’accordo sul fatto che bisogna concentrarci sulla protezione totale delle frontiere e che l’obiettivo deve essere quello di ridurre in modo radicale l’immigrazione irregolare e questo è già un grande passo avanti”, si limita a rispondere alle domande sul tema il premier slovacco, Robert Fico, nell’imbarazzante doppia veste di presidente di turno e membro del nucleo di Paesi più critico dell’Unione.
Tra i temi all’ordine del giorno non c’era quello che ha causato l’incontro, e cioè la Brexit, ma qualche riferimento all’uscita del Regno Unito dall’Ue era comunque inevitabile. “Quando ho incontrato Theresa May mi ha detto che è praticamente impossibile che l’articolo 50 sia lanciato entro dicembre, ma potrebbe esserlo a gennaio o febbraio”, riferisce Tusk, aggiungendo di “capire” le difficoltà di Londra. Juncker, invece, tiene a ribadire che Londra non ha alcuna possibilità di portare a casa l’accesso al mercato unico senza garantire anche la libera circolazione dei cittadini europei: su questo, chiarisce, “non c’è possibilità di compromesso”. Il tema è “cruciale” anche per i Paesi di Visegrad, visto l’enorme numero di cittadini soprattutto polacchi residenti nel Regno unito: “I negoziati – insiste Fico – non possono portare ad una situazione in cui cittadini di Paesi che contribuiscono all’economia Ue diventino cittadini di seconda fascia solo per realizzare le ambizioni politiche di chi ha portato a questo referendum”.