Un profluvio di discorsi. Oggi il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha pronunciato a Strasburgo il suo discorso sullo Stato dell’Unione. In qualche modo anche gli altri due presidenti, quello del Parlamento Martin Schulz e quello del Consiglio Donald Tusk hanno fatto lo stesso, uno sotto la forma di video intervista su Youtube (durante la quale non sappiamo come abbia scelto le domande alle quali ha risposto) e l’altro sotto forma di una lettera di invito ai capi di Stato e di governo (tutti meno Theresa May) al vertice informale di Bratislava. Tutti hanno tentato insomma di avere un pezzetto di scena per sé e il quadro si completa con il discorso tenuto due giorni fa dal quarto presidente, quella Bce Mario Draghi che ha ricevuto il premio Alcide De Gasperi.
Il tema è stato per tutti lo stesso: come tentare di rammendare un’Unione a brandelli. E tutti hanno dato, tra le varie risposte, una risposta comune: i governi nazionali devono cambiare atteggiamento. Non se ne può più, hanno detto tutti, di questi leader che vengono a Bruxelles, prendono impegni, e poi tornati a casa se ne dimenticano. Non se ne può più di leader che quando le cose vanno bene spiegano ai loro elettori che è merito loro e quando vanno male è colpa di Bruxelles. Non è più possibile andare avanti con governi che tentano di limitare anziché aumentare la sovranità europea in settori chiavi.Sono parole quasi testuali, non nostre sintesi.
Arriva insomma sul tavolo di Bratislava, come Tusk chiaramente vuole, il tema dei temi: chi ci crede ancora, chi vuole starci e chi invece no. Se non si risolve questo rebus, se “non si affronta con un discorso franco” questa situazione a Bratislava, come dicono uomini molto vicini a Tusk, non si va avanti.
La spaccatura tra Bruxelles e le capitali si va approfondendo, e il calendario dei prossimi mesi non aiuta. Il referendum italiano, le presidenziali austriache e poi quelle francesi, le elezioni politiche tedesche (ma ce ne saranno anche altre) sono tutti appuntamenti che non aiutano a trovare una soluzione. Si questi si incastrano poi il rinnovo di Tusk al Consiglio e quello del presidente del parlamento europeo, tutte e due scadenze dall’esito, in questo momento non scontato.
Tusk prima di scrivere la lettera fiume di ieri ha incontrato personalmente o sentito al telefono tutti i leader dei ventisette, con un tour de force notevole, dal quale è tornato non ottimista. “C’è un problema”, dicono autorevoli fonti del Consiglio riferendosi all’atteggiamento dei capi di Governo, e Tusk non lo vuole nascondere, uno perché in realtà dirlo rafforza la sua posizione e due perché ha deciso di evitare il “facile ottimismo” e di preferire “un’analisi onesta”.
A Bratislava lo scontro sarà dunque questo, ben oltre la Brexit, disastrosa, dolorosa, gravida di possibili conseguenze negative, ma in qualche modo oramai “gestibile”. Il problema che sarà posto sul tavolo è: cosa vogliamo fare di questa nostra storia? E il tempo, dimostrano i voti dei cittadini e i problemi che si accumulano senza soluzioni, davvero non c’è più per tergiversare o fare politiche di piccolo cabotaggio.