Roma – L’avanzata di Alternative für Deutchland (Afd), che alle regionali tedesche di domenica scorsa ha superato la Cdu della cancelliera Angela Merkel nel Meclenburgo, non dipende tanto dalla campagna anti-immigrazione fatta dal movimento euroscettico, quanto appunto dalla posizione molto critica verso l’euro e l’Ue. È questa la lettura che Danilo Toninelli, esponente M5S a Montecitorio, dà del risultato delle urne nel nord est della Germania. Il deputato apre alla possibilità di condurre insieme con Afd alcune battaglie, ma si smarca dalla linea di chiusura delle frontiere predicata dal movimento di Frauke Petry.
Qual è la sua analisi del voto tedesco, che ha segnato una forte ascesa per il movimento Alternative fur Deutschland?
Siamo di fronte a un fortissimo segnale di cambiamento che arriva dai cittadini. In primo luogo perché si tratta della prima vera sconfitta subita dalla Merkel e dal suo partito – soprattutto se consideriamo che si è concretizzata nel suo collegio elettorale, senza dimenticare che il crollo ha riguardato tutti i partiti tradizionali, non solo la Cdu –, in secondo luogo perché questo risultato si fonda su un’affluenza al voto che è aumentata moltissimo. Dall’ultima elezione per il Parlamento regionale è passata dal 51% al 61%, segno che quando si presenta una reale alternativa la gente ha interesse ad andare a votare, smentendo chi etichetta semplicisticamente certi fenomeni come “antipolitica”.
Afd è molto critica nei confronti dell’Europa, dell’euro e ha basato il proprio successo soprattutto su una campagna di estrema chiusura sull’immigrazione. Anche loro vogliono l’uscita dall’euro e la restituzione di sovranità agli Stati nazionali. Possono essere un partner per le vostre battaglie sul piano europeo?
Io non sono esperto di politica interna tedesca, ma non sono così sicuro che questo successo sia dovuto soprattutto alla questione migratoria, considerando che il Meclemburgo non ne è stato interessato in modo particolare. La posizione molto critica nei confronti dell’euro e dell’Unione europea – che non sono l’Europa – spiega secondo me meglio il successo in una regione della ex Germania dell’Est che è penalizzata dalle disuguaglianze insite nelle politiche tedesche fin dalla riunificazione. Afd, a quanto mi risulta, è nato come “partito dei professori”, fondato da economisti che hanno individuato in un’unione monetaria insostenibile una delle principali cause della crisi europea. Noi fummo tra i primi ad affermarlo in Italia, ormai molto tempo fa, quando Salvini diceva che il Nord Italia doveva fare la secessione per restare nell’euro insieme agli Stati più “forti”. Con questo voglio dire che, come è per tutte le battaglie che conduciamo, qualunque soggetto può essere un valido alleato se si condivide il merito, l’obiettivo, che poi è quello che concretamente serve al benessere dei cittadini, fintanto che ciò non sia riconducibile ad alleanze unicamente ‘politiche’, di puro opportunismo e volte soltanto all’ottenimento o al mantenimento del potere.
Quali sono invece le differenze tra M5s e Afd che ritiene difficilmente superabili? Ad esempio, sull’immigrazione, le vostre proposte – superamento del regolamento di Dublino, redistribuzione obbligatoria dei rifugiati, vie legali di accesso e rimozione delle cause di migrazione – sono in linea con quelle del governo italiano e con l’orientamento della Commissione europea.
Sull’immigrazione certamente non condividiamo certe posizioni, specialmente quelle più estreme di alcuni esponenti di quel partito: sia per ragioni umanitarie, sia per ragioni di diritto internazionale e costituzionale, sia per ragioni banalmente geografiche, crediamo che la semplice chiusura delle frontiere non sia una soluzione praticabile. Questo è evidente per un Paese esposto ai flussi attraverso il Mediterraneo, ma sarebbe miope anche per la Germania vedere nella chiusura una soluzione al fenomeno. Ciò che differenzia la posizione del M5S da quella del governo e della Commissione europea è nei mezzi che siamo disposti a mettere in campo per attuare i nostri intenti, in particolare per quanto riguarda gli impegni finanziari che l’Italia ha nei confronti dell’Ue. Se l’Ue rinnega l’umanità e la solidarietà su una questione del genere, noi dovremmo rinnegare i trattati sui vari fondi salva Stati che di fatto sono ‘salva banche’, utili a garantire la grande speculazione socializzando le sue perdite, e non a proteggere le finanze pubbliche dei Paesi o i risparmi dei cittadini.
Il fronte dell’euroscetticismo, mi passi la semplificazione, è presente più o meno in tutti i Paesi Ue. Tuttavia appare molto eterogeneo. Esiste un minimo comune denominatore attorno al quale è possibile aggregare le forze?
Che l’euro sia una minaccia al futuro dell’Europa, come sapete, è l’oggetto dell’analisi del più recente libro del Nobel Joseph Stiglitz, che non è certo accostabile alla destra. Cose che del resto lo stesso Stiglitz venne a spiegarci di persona alla Camera dei deputati ormai due anni fa, e che come ho detto noi sosteniamo da tempo. Il fallimento delle terapie della Banca centrale europea spacciate per salvifiche, in particolare l’insuccesso del tanto strombazzato ‘quantitative easing’ nel contrastare la deflazione rilanciando i consumi e i veri e propri disastri che sono avvenuti e stanno avvenendo con le banche a causa di trovate geniali come il ‘bail-in’, non sono altro che la prova concreta della correttezza di queste tesi. Il superamento di questo sistema è una questione tanto vitale quanto complessa da affrontare, dalla quale dipendono praticamente tutte le altre legate allo stato sociale, al lavoro, alla tutela del risparmio, e quindi può senz’altro rappresentare un denominatore comune più che sufficiente attorno al quale aggregare forze anche eterogenee.
Quali sono gli elementi attorno ai quali è possibile la sintesi?
Gli elementi attorno ai quali è possibile una sintesi anche ideale sono quelli della sovranità e della democrazia, scolpiti nel primo articolo della nostra e di molte delle Carte costituzionali delle democrazie europee. L’idea di creare un governo europeo senza democrazia è stata le vera causa del fallimento del progetto, perché senza democrazia ci si allontana dai bisogni dei cittadini. Le cieche politiche dell’austerità che in Europa hanno distrutto interi sistemi sociali e fatto esplodere la disoccupazione, specialmente giovanile, a livelli impensabili e intollerabili, senza rilanciare in alcun modo la crescita, sono esattamente il prodotto di questo allontanamento dai bisogni dei cittadini. Se la democrazia passa dagli Stati, la sovranità deve necessariamente essere degli Stati: non si può cederla senza che i soggetti a cui viene ceduta siano pienamente politicamente responsabili di fronte ai loro elettori. Quando e se avremo un governo europeo di questo tipo, si potrà valutare se è venuto il tempo di superare gli Stati o di farne nascere uno nuovo da quelli esistenti, ma dovrà essere anche questa una scelta primariamente dei cittadini. Il percorso inverso, quello seguito finora, che ha cercato di superare gli Stati trasferendo la sovranità nelle istituzioni Ue non democratiche, deve essere abbandonato. L’idea di inseguire superministri delle finanze o superconsigli di controllo dei bilanci significa non aver capito nulla di questa crisi. Questo non deve escludere, naturalmente, la cooperazione tra gli Stati europei per la tutela dei diritti o per quanto di positivo l’Unione europea è riuscita a realizzare, perché la nostra Costituzione promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni, ma solo a condizione che le limitazioni di sovranità necessarie a realizzarle avvengano in condizione di parità con gli altri Stati.