Bruxelles – Se è vero che esiste un legame diretto tra crescita e innovazione, allora si possono comprendere i recenti dati sull’economia italiana e l’avvertimento lanciato due giorni fa dal Fondo monetario internazionale che ha calcolato in vent’anni il tempo necessario all’Italia per ripartire.
L’innovazione in Italia viaggia di pari passo con la sua cronica debolezza economica e si ferma al 17esimo posto tra gli Stati membri, notevolmente al di sotto della media europea. Lo dice l’ultimo rapporto annuale sull’innovazione europea, l’European Innovation Scoreboard, pubblicato oggi dalla Commissione, e che colloca la Penisola nella sezione dei “moderate innovators”, preceduta dalla Repubblica Ceca e seguita dal Portogallo.
Al primo posto il paese scandinavo della Svezia, regina dell’innovazione, seguita da Danimarca, Finlandia, Germania e Olanda. Sono loro che trainano il carro dell’innovazione europea. La stessa cosa fanno in Italia le due regioni del Piemonte e del Friuli Venezia Giulia che riescono a fare la differenza anche in un contesto sfavorevole, come del resto fanno altri fiori all’occhiello in Stati europei economicamente poco dinamici: País Vasco in Spagna e Bratislavský kraj in Slovacchia.
Come è possibile che alcune regioni dell’Europa e dell’Italia riescano a fare innovazione e altre no, lo spiega Carlos Moedas, Commissario per la Ricerca, a Scienza e l’Innovazione: “I paesi e le regioni leader supportano l’innovazione attraverso una vasta gamma di politiche che vanno dagli investimenti all’istruzione, dalle condizioni di lavori flessibili ad un’amministrazione pubblica che valorizza imprenditorialità”.
Esistono anche Paesi che stanno crescendo molto rapidamente in termini di innovazione, come Lettonia, Malta, Lituania, Paesi Bassi e Regno Unito, cercando di far vincere all’Europa la sfida con due colossi mondiali dell’innovazione come Stati Uniti e Giappone.
In cosa i Paesi europei leader nell’innovazione fanno la differenza? Ognuno di loro ha una specialità. La Svezia si distingue in risorse umane e qualità della ricerca accademica; la Germania negli investimenti privati; il Belgio nelle reti e nella collaborazione; e, infine, l’Irlanda nel settore delle piccole e medie imprese.
La specializzazione è, dunque, uno degli ingredienti che fanno la differenza anche nella creatività economica, insieme a un sistema di innovazione equilibrato che unisca investimenti pubblici e privati, partnership tra imprese e università, e un sistema di istruzione e ricerca di qualità.
I risultati si vedono non solo in termini di vendite e esportazioni di prodotti innovativi, ma anche di aumento di posti di lavoro. Proprio quello che in Italia non succede, mancando la combinazione tra tutti questi elementi.
Un valore aggiunto nell’innovazione, come anche in altri ambiti, è rappresentato dalla specializzazione nelle Key Enabling Technologies (KETs), le tecnologie abilitanti, come quelle legate all’uso degli smartphone o le moderne nano e bio tecnologie, i nuovi volani della crescita economica.
Ci sono paesi destinati a crescere in innovazione come Romania, Malta e Irlanda, perché il prossimo anno aumenteranno i loro investimenti nel settore. Tutt’altra è la direzione che sta prendendo l’Italia in questi anni. Secondo gli ultimi dati Istat del 2015, la spesa totale in ricerca e sviluppo nel 2013 ammonta a circa 21 miliardi di euro, con un’incidenza percentuale sul Pil dell’1,31%, ben lontano dal target nazionale dell’1,5% previsto dall’Europa per il 2020.