Theresa May non è il leader del futuro della Gran Bretagna. E’ solo l’unico birillo rimasto in piedi dopo il passaggio della valanga Brexit. E’ certamente una politica rispettata, forte, è quella che per più tempo è rimasta sulla poltrona di ministro degli Interni, non è lì dove è arrivata per un caso. Probabilmente è la persona a cui David Cameron più di altre può aver pensato di lasciare le chiavi di Downing street, ma non è la figlia, o la madre, di un progetto politico. Tanto che, seppur molto tiepida, è stata una sostenitrice del Remain. Rappresenta il cuore dei Tory, e la sua ascesa riflette il profondo istinto dei conservatori di mettere la sopravvivenza del partito sopra ogni cosa.
Ora deve gestire la fase più difficile del suo Paese da molti decenni a questa parte. Mercoledì 13 diventerà primo ministro, e dovrà innanzitutto rimarginare la ferita profonda e trasversale che si è creata nella politica e tra i cittadini. Dovrà trovare la maniera di far marciare unito un grande Paese che forse mai prima d’ora si era così diviso. Con un rischio di spaccatura che dopo secoli mette in discussione anche la permanenza di Scozia e Nord Irlanda nel Regno Unito. Promette che le cose andranno meglio al termine del processo Brexit, una promessa condivisibile, solo che viene da qualcuno che questo processo non lo avrebbe voluto. Sono i salti mortali della politica, non accadono solo in Gran Bretagna.
Theresa May è anche lei una donna, come lo era Margaret Thatcher, anche lei chiamata a salvare la Patria in un momento difficile. Non è una cosa che ha un significato politico, ma è comunque un fatto che non si può non notare. May è l’ancora di salvezza che il regno ha trovato e alla quale ora tutti si aggrappano. Il percorso che farà sarà molto difficile, non è chiaro a nessuno, neanche a lei, e in pochi credono che nei prossimi due anni questo cammino non debba essere interrotto (o anche rilanciato) da elezioni politiche anticipate. Che lei, ora, certamente vorrebbe evitare.
“Mayday” è il grido di richiesta di aiuto della nave che affonda. E’ una battuta facile richiamarlo oggi che May sta per prendere le redini. Ma è vero che la Gran Bretagna corre dei rischi gravi. Non può affondare, è un grande paese, importante sul piano internazionale, ricco, con una grande storia e una grande rete, ma è anche la prima volta che va contro corrente, che non ha scelto davvero il futuro che si trova davanti, come dimostrano i progressivi abbandoni del ponte di comando da parte dei vincitori del referendum, che hanno rimesso la nave nelle mani di una remainer. La Brexit si farà, è la prima cosa che la futura premier ha detto, e questa è dunque una certezza. Manca tutto il resto, il come, il quando, il cosa verrà dopo.
May dovrà prima di tutto proteggere la piazza finanziaria di Londra, è nelle sue priorità politiche, è una conservatrice che ha seguito tutte le politiche che hanno messo la City davanti a tutto, ma ora più che mai dovrà sforzarsi anche di favorire la pace sociale, dovrà fare il contrario, da questo punto di vista, di quanto ha potuto fare Thatcher, che spezzò il Paese in due, creando quelle sacche di povertà, in particolare nel nord dell’Inghilterra, che oggi hanno votato per il Leave e dove sempre più si sono manifestati fenomeni di insofferenza verso gli stranieri. Stranieri dei quali però la Gran Bretagna ha bisogno, in molti settori produttivi e dei servizi, e dunque la nuova premier dovrà trovare il modo di far accettare una forma di immigrazione a chi invece pensa che il problema sia tutto lì. Dovrà anche trovare il modo di tutelare lo status dei milioni di britannici che vivono in Europa continentale, oggi da concittadini, ma domani da extracomunitari. Sono milioni, votano, e si aspettano protezione. Protezione che costerà una qualche reciprocità per i continentali che vivono nel Regno Unito. Per le aziende sarà lo stesso, per questo popolo di commercianti, come lo ha definito Cameron nel suo discorso di addio, che ora, da solo, si è tirato su delle barriere che gli ex partner non aiuteranno poi tanto a superare.
May day for Britain. E i ventisette che restano nell’Unione sono chiamati al soccorso. Per mille motivi quelli che restano ora pensano che Londra dovrà uscire dall’Unione. Ma non siamo in guerra, abbiamo solo scelto strade diverse che resteranno spesso parallele. Evitiamo che si scontrino.