Bruxelles – Con la scelta di proporre il Ceta, il libero scambio con il Canada come accordo “misto” che dovrà quindi essere approvato da tutti i Parlamento degli Stati membri, la Commissione gioca il tutto per tutto per salvare il trattato, mettendolo però allo stesso tempo in serio pericolo. In gioco c’è molto di più del semplice Ceta: in gioco c’è l’intera politica commerciale dell’Ue, a partire dal Ttip, il libero scambio con gli Stati Uniti. Questo la Commissione lo sa, e lo sanno anche gli Stati membri. Se il Ceta, che ha richiesto 5 anni di negoziati tra Bruxelles e Ottawa, dal maggio 2009 al settembre 2014, e un anno e cinque mesi di revisione legale, dovesse essere bocciato, quale altro Paese del mondo in futuro perderà del tempo a negoziare un accordo simile con l’Europa? Di certo non gli Usa: con il Ceta si potrebbe dire addio anche al Ttip.
La Commissione avrebbe potuto forzare la mano richiedendo un’approvazione solo a livello Ue, più semplice e sicura, ma ha preferito cedere alle pressioni di quella che il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha definito “una maggioranza” degli Stati membri senza combattere troppo, gettando la palla nel loro campo, e con la palla anche la responsabilità di un eventuale fallimento che costerebbe caro alla credibilità stessa dell’Unione europea. E non c’è nessuna considerazione sulla democraticità di un metodo piuttosto che di un altro in questa scelta, ma soltanto pragmatismo politico.
L’esecutivo di Jean-Claude Juncker insisteva che il Ceta dovesse essere approvato solo dalle istituzioni comunitarie, Consiglio Ue e Parlamento europeo, e con lui alcuni Stati tra cui l’Italia. Ma molti altri Paesi, in primis l’Austria, si sono impuntati a chiedere che il trattato venisse passasse al vaglio anche dei Parlamenti nazionali. E anche per loro la scelta aveva tutt’altro a che fare con questioni di democrazia. Romania e Bulgaria ad esempio useranno queste trattative per costringere il Canada a togliere ai loro cittadini l’obbligo di visto sui passaporti che Ottawa, in deroga agli accordi con l’Ue, ha lasciato per Bucarest e Sofia. Se non ci sarà l’esenzione dei visti, non ci sarà la ratifica del Ceta, hanno già annunciato i due Paesi.
La Commissione però per guadagnare tempo ha chiesto che il Ceta, una volta che sarà approvato da Consiglio Ue e Parlamento Ue, entri in vigore subito, anche se in maniera provvisoria. L’iter per la ratifica definitiva sarà infatti lunghissimo, ci potrebbero volere mesi, se non anni, per il passaggio nelle diverse Assemblee nazionali che sono in tutto 38, visto che alcuni dei 28 Paesi membri ne hanno più di una Camera.
Cosa succederà però se uno Stato dovesse bocciare il trattato non è chiaro. “Non è mai successo che un Parlamento non ratificasse un accordo misto, e sulla questione non ci sono indicazioni nei trattati”, ci spiega una fonte qualificata della Commissione. Insomma al Berlaymont per ora non possono fare altro che incrociare le dita e sperare che tutto vada nel verso giusto.
Per evitare questo tipo di problemi nel futuro la Commissione ha, parallelamente, chiesto alla Corte di Giustizia dell’Ue un parere sull’accordo di libero scambio con Singapore. “Si tratta di un accordo molto simile a quello col Canada, e questo quindi lascia margini di incertezza nel confronto, ma comunque il parere sancirà dei principi generali a cui potremo appellarci in futuro”, spiega ancora la fonte secondo cui il parere “potrebbe porre fine ai disaccordi tra le interpretazioni legali tra la Commissione e gli Stati”. Se la Corte dovesse dare ragione all’esecutivo comunitario, affermando che quello con Singapore è un accordo solo Ue (e quindi implicitamente che lo è anche il Ceta) a quel punto verrà sancito ciò che è già palese, e cioè che in questa battaglia non ci sono considerazioni legali, ma solo politiche. E questo influirà anche sul destino del Ttip, se mai le trattative tra Bruxelles e Washington dovessero giungere a termine.