Roma – Il Movimento 5 stelle diventa la prima forza politica nazionale. Lo indica un sondaggio commissionato da Repubblica a Demos & Pi, svolto su un campione rappresentativo dell’elettorato italiano. La formazione politica fondata da Beppe Grillo, stando alla rilevazione effettuata tra il 27 e il 29 giugno, otterrebbe il 32,3% se oggi si votasse per le elezioni politiche. Il Pd del premier-segretario, Matteo Renzi, si fermerebbe al 30,2%. Dati che porterebbero a un ballottaggio tra queste due forze politiche, in virtù della nuova legge elettorale che per il primo turno prevede un premio di maggioranza solo al raggiungimento del 40% dei voti.
Sono dati che all’inquilino di Palazzo Chigi e titolare di Largo del Nazareno pongono non pochi grattacapi. Anche perché, in caso di un confronto Pd-M5s al secondo turno, i pentastellati conquisterebbero la maggioranza a Montecitorio – l’Italicum non contempla l’elezione del Senato, formato da sindaci e consiglieri regionali se la riforma costituzionale venisse confermata al referendum di ottobre – con quasi 10 punti percentuali di vantaggio. Inoltre, sempre secondo Demos & Pi, anche il candidato premier M5s in pectore, Luigi Di Maio, supera il presidente del Consiglio nel gradimento popolare.
Anche se non sarebbe la prima volta che i sondaggi sbagliano, e quelli sulla Brexit ne sono la più recente dimostrazione, un po’ di apprensione per Renzi c’è. Appena l’altra sera, nel suo confronto con i cittadini sui social network, ha confermato la propria convinzione nella bontà della riforma elettorale. Più volte ha dichiarato che l’Italicum non serve a far vincere una forza piuttosto che un’altra, ma a garantire governabilità al Paese. Ma l’ipotesi di riaprire il dossier si fa sempre più concreta e anche l’occasione per farlo è già pronta: i deputati di Sinistra italiana sono riusciti a ottenere che l’Aula di Montecitorio discuta, a settembre, una mozione in cui si mette in dubbio la costituzionalità di alcune parti della legge elettorale.
Il dibattito dunque è destinato a proseguire nei prossimi mesi, nel corso dei quali Renzi dovrà decidere se rimettere mano alla riforma o no. Farlo gli darebbe l’occasione di ricompattare il Pd, ricucendo gli strappi con la sinistra interna. Lacerazioni che hanno avuto un peso sul voto amministrativo e rischiano di compromettere anche le possibilità di vittoria del Sì al referendum costituzionale di ottobre. Allo stesso tempo rafforzerebbe l’esecutivo, dal momento che anche gli alleati centristi di Area popolare vogliono cambiare la norma che attribuisce il premio di maggioranza al primo partito invece che alla coalizione. Adottando questa modifica, si allontanerebbe poi una vittoria dei cinquestelle, che come sempre si presenteranno da soli, mentre il Pd costruirebbe alleanze per colmare il gap che emerge dai sondaggi.
Se il premier-segretario non aprirà a modifiche sull’Italicum, vorrà dire che è intenzionato a fare i conti con tutti in uno scontro finale senza esclusione di colpi. In questo caso continuerà ad attaccare la minoranza dem, arrivando probabilmente a ulteriori emorragie dal partito. Proseguirà nell’esercizio molto accentrato dell’azione di governo, continuando a oscurare gli alleati e contando sul fatto che non abbiano alcun desiderio di elezioni anticipate, visti i risultati poco lusinghieri alle amministrative e i sondaggi che li danno al 2,5%, mezzo punto sotto la soglia di sbarramento fissata dall’Italicum. Infine, intensificherà lo scontro con M5s e Lega, magari ponendo l’accento proprio su ciò che più differenzia i dem da pentastellati e leghisti: il rapporto con l’Unione europea.
Che si muova in una direzione o nell’altra, Renzi avrà comunque bisogno di successi in Europa perché la sua strategia possa funzionare. Se la via sarà quella della pacificazione con gli avversari interni, avrà bisogno di mostrare che, oltre alle riforme in Italia, è in grado di portare un cambiamento anche nelle politiche europee per la crescita economica e per l’immigrazione. Solo così potrà invertire il trend che lo vede in costante calo di consensi dal giugno 2014, all’indomani delle elezioni europee, quando secondo Demos si è registrato l’apice del gradimento per Renzi (74% contro l’attuale 40%) e per il Pd (45% contro il 30,2% di oggi).
A maggior ragione avrà bisogno di lustro in Europa se sceglierà la via dello scontro. Si troverà con meno amici a combattere l’euroscetticismo di Lega e M5s, e gli serviranno risultati concreti da esibire come la dimostrazione che non solo stare nell’Ue e nell’Eurozona porta vantaggi, ma che è lui quello in grado di ottenerli.