Londra – Il voto di sfiducia a Jeremy Corbyn, leader del partito laburista britannico, è una delle conseguenze del voto su Brexit di giovedì 23 giugno, e sta creando una lotta intestina al partito.
Diversi membri di spicco della formazione, tra i quali Margaret Beckett, ex ministro degli Esteri, e Ed Miliband, ex leader laburista, che dopo le elezioni politiche si era dimesso dando il via al processo per l’elezione del nuovo leader, stanno invitando Corbyn a lasciare la sua carica.
“Dobbiamo pensare al Paese. Ho sostenuto Jeremy Corbyn in tutto il suo percorso, dal momento in cui è stato eletto. È stata la cosa giusta da fare”, ha dichiarato Miliband alla BBC. “Penso che quello che egli rappresenta è molto importante per andare avanti, ma – rivela – ho a malincuore raggiunto la conclusione che la sua posizione è insostenibile.”
Scaricato dai suoi ministri ombra, dai big ( con Tony Blair che non lo ha mai sostenuto) e dal voto dei deputati del gruppo, 172 voti favorevoli e 40 contrari, alla mozione di sfiducia presentata ieri, Corbyn sembra però essere ancora il leader che vuole la base popolare che lo ha eletto alla guida del partito, e che vorrebbe cambiare i deputati che lo hanno sfiduciato.
Secondo uno studio della Queen Mary University e della Essex University la maggior parte dei nuovi membri del Labour è a favore della deselezione (deselection) dei deputati che criticano costantemente la leadership.
Lo studio ha stabilito che il 55 per cento dei membri del Labour iscritti dopo il maggio del 2015 sarebbe a favore di questa misura. La deselection è un processo mediante il quale ad ogni elezione generale, un parlamentare deve fare nuovamente richiesta ai membri locali del partito per essere selezionato come candidato. Normalmente – se il deputato è popolare tra gli attivisti locali – questo è in gran parte un processo simbolico, ma il partito può votare e rifiutarsi di selezionare nuovamente il candidato se non decide egli stesso di dimettersi.
Corbyn, che è stato eletto a settembre con una maggioranza schiacciante, ha visto raddoppiare le dimensioni del partito durante la sua breve leadership, spostandolo più a sinistra e entrando in rotta di collisione con la parte blairiana.
La motivazione principale per chiederne ora le dimissioni è che Corbyn non si sarebbe speso abbastanza a favore del Remain, dato anche il suo noto passato da euroscettico. I suoi sostenitori rispondono però che la colpa della vittoria della Brexit non è da attribuire al nuovo leader, ma a quelli passati, che hanno distaccato sempre più il partito dalla sua base e dalla classe operaia che dovrebbe rappresentare.
Per l’ala sinistra del Labour Party questa rivolta interna è soltanto un regolamento di conti e il segno che tra la base del partito e i deputati c’è una grande differenza di vedute. Tesi sostenuta anche da Diane Abbott, parlamentare londinese del Labour per il distretto di Hackney e Stoke Newington.
“Questo tentativo di rimuovere Jeremy Corbyn dalla leadership è stato pianificato da mesi ed è completamente al di fuori delle regole. Il voto su Brexit è solo un pretesto, la verità è che Jeremy [Corbyn, ndr] ha viaggiato migliaia di miglia mobilitando gli elettori laburisti. Quasi due terzi del Labour ha votato per restare”, ha dichiarato Abbott, aggiungendo che “se David Cameron fosse stato in grado di convincere una percentuale simile dei suoi a votare per rimanere, saremmo ancora nella Ue. Questo non è il Labour Party contro Jeremy Corbyn, ma il partito contro i suoi stessi elettori”.
Il 6 luglio la Commissione Chilcot, che sta portando avanti un’indagine contro Tony Blair per crimini di guerra in Iraq, emetterà il suo verdetto, che si preannuncia non favorevole all’ex primo ministro. Questo avvenimento nella lotta interna al partito ha non poco peso, visto che Corbyn non si è schierato a difesa del suo predecessore.
L’attuale leader dei labour ha dichiarato che non si dimetterà, in quanto “democraticamente eletto dal 60% dei membri del partito”, ma nel Labour si è aperta una grave falla.