La brutta storia del referendum britannico ci ha insegnato soprattutto una cosa: che la democrazia ha un senso solo in una società matura, informata, non esasperata, dove le diverse opinioni si affrontano in condizioni di sostanziale equilibrio. Soprattutto, che materie strategiche per uno stato, che riguardano la sua stessa sopravvivenza, non possono essere oggetto di referendum popolari.
Quello che è accaduto nel Regno Unito è un concentrato di tutti i mali che possono colpire una democrazia. A gente spaventata e male informata è stato chiesto di decidere su una questione troppo grande per loro. Davanti all’incomprensibilità di una situazione, il comportamento tipico di una società che si sente minacciata è quello della semplificazione, della spicciativa divisione di ogni questione in bene e in male. Chi non capisce processi che lo sovrastano non è capace di vedere le sfumature e ricorre alle ideologie per decifrare una realtà troppo complessa per lui.
Questa è l’essenza del populismo, di qua e di là dalla Manica. Si potrebbe anche dire che nulla c’era di così tanto complesso nella questione del Brexit. Se i cittadini inglesi in tutti questi anni fossero stati informati in modo equilibrato sul funzionamento dell’Ue, sui benefici che ne traevano anche senza vederli direttamente e sul senso politico del progetto europeo. Nulla di tutto questo è mai passato sui mezzi di informazione britannici. Come in molti altri paesi, e forse anche peggio nel Regno Unito, l’Ue è invece stata fatta sistematicamente il capro espiatorio di ogni male, quando invece era spesso l’unica che cercava di rimediare alle catastrofi provocate dall’insipienza e dalla divisione dei governi nazionali.
Se le miniere inglesi hanno chiuso assieme alle acciaierie, se intere regioni del Regno Unito sono sprofondate nella povertà, se l’assistenza sociale che un tempo era fra le più progredite del mondo ora è quasi scomparsa sotto i tagli dei due ultimi governi conservatori, se intere fasce della popolazione britannica guadagnano appena quel che serve loro per vivere, senza alcun margine per il risparmio, la colpa non è certo dell’Ue ma dell’ideologia economica del liberismo selvaggio e della supremazia del mercato sullo stato cui hanno spianato la via dell’Europa intera Thatcher e Reagan.
Mentre accadeva questo, la stampa britannica ridicolizzava l’UE che poneva misure per le gabbie degli allevamenti di pollame o per il calibro di mele e banane, nella fattispecie tutte normative funzionali proprio al mercato unico cui il Regno Unito teneva tanto. Ora se l’Europa a 27 vuole sopravvivere dovrà innanzitutto proteggersi da strumenti democratici come il referendum che usati impropriamente diventano strumenti di ricatto di una parte della società contro un’altra.
Non dimentichiamo che il no all’Europa dei britannici è venuto essenzialmente dalle vecchie generazioni, dai pensionati, dalle campagne, contro le giovani generazioni, gli studenti, le città. Il 75% dei giovani ha votato per restare. Sono i vecchi che hanno deciso il futuro dei giovani. In secondo luogo, l’Europa non dovrà concedere nulla al Regno Unito nel negoziato di separazione. Con il Brexit il Regno Unito è fuori dall’Ue e potrà al massimo ambire ad avere con noi relazioni come quelle degli stati Efta, la Norvegia e la Svizzera. Anche queste da negoziare in modo serrato e nell’interesse europeo, senza nessuno sconto. Non potranno esserci facilitazioni, esoneri e eccezioni inglesi questa volta. Solo così si lancerà un messaggio chiaro a quegli altri governi che giocano col fuoco della minaccia secessionista e coltivano i loro populismi ancora una volta per dare all’Europa la colpa delle loro incapacità.