Dal nostro inviato
Londra – Sono passate poco più di 24 ore dal momento in cui i risultati definitivi sul referendum Brexit sono stati dichiarati e in questo breve lasso di tempo, in Gran Bretagna, sono successe più cose che negli ultimi sei mesi di governo.
La situazione è talmente incerta che anche gli stessi promotori del referendum sembrano non sapere che pesci prendere. Molto bravi a criticare l’Ue, David Cameron (il premier Uk), Jeremy Corbyn (leader del partito laburista), un po’ meno nel proporre un piano reale che possa portare ad un progetto “sicuro” per far uscire il Regno Unito dall’Unione Europea.
Le prime conseguenze dal punto di vista finanziario non hanno atteso ad arrivare, con la sterlina che ha perso valore nei confronti dell’euro e del dollaro e i manager delle grandi banche che minacciano di lasciare Londra per spostarsi in un paese membro dell’Ue.
Standard & Poors, ha dichiarato che un rating AAA per il Regno Unito è “insostenibile, date le circostanze”, facendo riferimento all’incertezza economica che si prospetta nei prossimi mesi.
Sventolando una finta sicurezza, Boris Johnson, ex sindaco di Londra, ha parlato alla nazione, dicendo che non c’è fretta per il processo di uscita, ma questo ai più, in particolare alla stampa inglese, è suonato molto strano.
Johnson ha avuto tutto ciò che desiderava: Cameron si è dimesso, e lui è tra i successori possibili, gli elettori hanno sostenuto la sua campagna e la Gran Bretagna si avvia a “riprendere il controllo” come recita il manifesto di Vote Leave, la maggiore associazione a favore di Brexit. Nonostante gli esiti positivi per Johnson, sembra che la paura lo abbia colpito tutto di un colpo, come un sogno in cui non si credeva più e che tutto di un colpo si avvera.
Lo stesso Nigel Farage, leader dell’Ukip (United Kingdom Independent Party), ha dichiarato di non poter mantenere la promessa di riallocare i 350 milioni di sterline che l’Uk invia a Bruxelles al Nhs (la sanità pubblica britannica) e che questo è stato un errore della campagna referendaria.
Intanto il partito Laburista è in fermento e vede la leadership di Corbyn minacciata su due fronti. Il primo, quello degli europeisti, ha presentato una mozione di sfiducia a nome delle parlamentari Margaret Hodge e Anne Coffey, entrambe blairiane, che lo hanno accusato di non aver fatto il suo dovere nella campagna referendaria. Dall’altro i sostenitori del Leave che lo invitano a dimettersi per il fallimento della sua campagna pro Ue.
Anche quello conservatore non vede di certo una situazione migliore. David Cameron si è dimesso da Primo Ministro, lasciando la patata bollente al prossimo governo, e il partito è diviso tra sostenitori di Brexit ed europeisti.
L’unico partito che sembra essere compatto è l’Ukip, promotore del referendum e vero vincitore di questa votazione, ma che sembra non avere le idee chiare sul futuro del Regno Unito.
Ray Finch, parlamentare Ukip, raggiunto al telefono da Eunews, sacrica il barile e dice che “la responsabilità ricade sul partito conservatore. Stiamo aspettando che loro formalizzino l’articolo 50 [del Trattato di Lisbona], ma questo non succederà fino a quando non avranno un nuovo leader e quindi ora bisogna attendere.”
Finch ha anche previsto un probabile governo sul modello tedesco della Große Koalition, che includerebbe Ukip, Labour e Tories con “i parlamentari che hanno sostenuto la Brexit, per iniziare i trattati con l’Unione Europea.”
L’Europarlamentare ha poi aggiunto: “I conservatori che sono al potere devono guardare anche a tutte le parti che sono coinvolte nella negoziazione di Brexit, in un’unione nazionale, per lavorare al bene della nazione. Questa non è stata una decisione dei partiti, ma degli elettori, che hanno scelto di lasciare l’Unione Europea.”
Tra gli scenari possibili, oltre a un nuovo governo conservatore, ci sono le elezioni anticipate a novembre, con un governo che riceverebbe il mandato per traghettare l’Uk al di fuori dell’Ue. Più remota l’ipotesi che si possa formare, come nella previsione di Finch, una nuova maggioranza che darebbe, sempre non prima di ottobre, inizio alle trattative con l’Ue, che sta spingendo perché l’Uk esca il prima possibile.
Ci sarà da aspettare ancora un po’ per sapere quello che succederà e, soprattutto, il fronte del Leave appare chiaramente non preparato alla vittoria e dunque sta prendendo tempo per elaborare una strategia. Ma anche in questo caso, lo schieramento è talmente eterogeneo che probabili tensioni si scateneranno, con i vari movimenti che hanno visioni economiche, politiche e sociali completamente differenti.
Come se non bastasse, Farage e Johnson, dovranno fare i conti con un probabile nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia per poter aderire in seguito all’Ue, come dichiarato da Nicola Sturgeon, primo ministro e leader dello Scottish National Party. Questa volta, la consultazione potrebbe vedere una vittoria degli scissionisti, considerando la percentuale di votanti a favore dell’Ue in quella nazione (62%).
Un secondo problema da prendere in considerazione è la possibilità che anche l’Irlanda del Nord possa richiedere un referendum per aderire alla Repubblica d’Iralanda, che è saldamente nell’Ue. Ci sono poi i timori che con l’uscita dall’Ue, e la perdita delle garanzie offerte da Bruxelles nel processo di pace, questo potrebbe essere messo a rischio.