Dal nostro inviato
Londra – “I risultati ancora sono incerti ma è possibile che ce la faremo” mi dice John Sweeney, portavoce della campagna Labour Leave a favore di Brexit, al ventinovesimo piano di un grattacielo a Vauxhall Bridge, di fronte al Tamigi, South West London.
Il palazzo domina sulla città, si riesce a vedere dalla London Eye al Big Ben, e Londra nonostante siano solo le 22 del 23 giugno è insolitamente tranquilla. Al ventinovesimo piano di questo grattacielo al civico 30 di Millibank, il fronte del Leave ha deciso di tenere la festa in caso di vittoria nel referendum su Brexit.
La sala è affollata, e i camerieri si aggirano offrendo tartine di pesce, champagne francese e birra italiana. Dress code da gran gala, ogni membro porta la spilla del partito che rappresenta, come Ray Finch, europarlamentare dell’Ukip e stretto collaboratore di Nigel Farage.
I giornalisti scarseggiano e noi siamo gli unici italiani che si aggirano per la festa, che più che un incontro politico sembra essere un matrimonio di provincia.
Le facce sono tristi, i primi sondaggi che danno il Remain al 52% sono appena stati diramati dalla Bbc e arrivano le prime dichiarazioni che ammettono “si, abbiamo perso, ma abbiamo comunque dato un forte segnale all’Europa”, come afferma Farage a urne chiuse.
Un segnale forte all’Europa, proprio qui si è giocato questo referendum, perché nel caso di vittoria, bisognerebbe avere un piano, un’idea, insomma un qualcosa, perché certo il processo che porterà all’uscita dell’Uk dall’Unione Europea non sarà certo ordinaria amministrazione, e questo i politici dovrebbero saperlo.
Quando alle 23 il leader Ukip decide di raggiungere gli invitati in quella che dovrebbe essere la sua festa, è tutto un brusio, i media si affollano intorno a Farage e il tempo sembra fermarsi per un attimo, per ripartire immediatamente quando, scortato dalle sue guardie del corpo, si apparta nel privè dedicato solo ai politici di professione.
A mezzanotte, quando lo champagne è ormai finito, e la torta è pronta sul tavolo per essere tagliata, arrivano i primi dati incoraggianti per il Leave, in 14 sezioni scrutinate su più di 300 il Leave è in vantaggio.
Ray Finch mi guarda, e con il suo fare un po’ rude da uomo inglese mi dice “se vinciamo Sunderland con più del 60% abbiamo buone probabilità di successo my friend.” Mai profezia fu più azzeccata.
Man mano che le ore passano i risultati arrivano e ad ogni annuncio della vittoria del Leave in una sezione, si aggiungono le urla di gioia dei sostenitori. Urla che arrivano anche quando la Cnn mostra l’andamento negativo della sterlina; un atteggiamento autolesionista che davvero non riesco spiegarmi.
Le ore passano, la stanchezza si fa sentire e la tristezza si trasforma in preoccupazione. Il Leave ormai domina incontrastato in quasi tutta l’Inghilterra, mentre Scozia e Irlanda del Nord si schierano nettamente a favore del Remain. “Questo non mi preoccupa” mi dice Finch, “sapevamo sarebbe andata così.”
Quando ormai la certezza che una vittoria è vicina, si respira un’atmosfera incerta, un misto di gioia e preoccupazione. Sembra quasi che i militanti fossero talmente tanto convinti di una sconfitta da non aver preparato nemmeno uno stralcio di programma in caso di vittoria.
“Domani arriverà una resa dei conti all’interno del partito Laburista, Jeremy Corbyn [il leader del partito] dovrà fare rispondere del suo comportamento” dichiara Brendan Chilton, membro del comitato Labour Leave.
Se da una parte le critiche verso Corbyn, Cameron e l’Unione Europea sono urlate a gran voce, dall’altra mancano contenuti e proposte su quello che avverrà dopo. Si evitano accuratamente queste domande e si tende maggiormente a parlare del grande successo ottenuto.
Mentre il sole comincia a sorgere illuminando nuovamente il palazzo e le luci all’interno della sala si spengono, arriva la conferma: sarà Brexit. Farage raccoglie le sue ultime forze, i suoi sostenitori e le guardie del corpo per apprestarsi a fare la sua prima dichiarazione: “Questo è il nostro independence day”.
Gli uomini di fiducia, i parlamentari presenti e le loro donne, giovani con tacco a spillo e gioielli costosi, si avviano a dormire. Si sveglieranno il giorno dopo, ricordandosi che quello in cui speravano è successo davvero.
Intanto arrivano le prime dichiarazioni di alcuni militanti che hanno votato per il Leave, “non credevo che saremmo usciti davvero, tornerei indietro per cambiare il mio voto”, e, vedendo quello che è successo, penseranno alla canzone dei The Clash, This is England, che recita: I see no glory when will we be free (non vedo alcuna gloria quando saremo liberi).