Bruxelles – Il tema abbiamo imparato a conoscerlo sul grande schermo, con i film hollywoodiani degli ultimi anni. Prima con un George Clooney, in Monuments Men, impegnato a guidare una squadra di militari americani un po’ attempati alla ricerca di opere d’arte rubate dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Schivano proiettili, percorrono chilometri e chilometri e salvano pale d’altare. Poi con Helen Mirren, in Woman in gold, anziana ebrea alle prese con una battaglia contro il museo di Vienna che, sempre in epoca nazista, le ha sottratto il ritratto che Gustav Klimt aveva dipinto per sua zia. Di questi film si ricorda anche il Parlamento europeo. “Da vedere”, suggerisce Marc-André Renold, professore dell’università di Ginevra, invitato a Bruxelles per presentare l’analisi approfondita sulla richiesta di restituzione oltre confine delle opere d’arte trafugate durante conflitti armati, che sono non poche visto che ci sono ancora 560 mila casi aperti.
Il professore, con i suoi collaboratori, ha messo in piedi un database – ArThemis – in cui si raccolgono tutti i casi noti di opere d’arte trafugate, sparite e rubate nel corso della storia. Una miniera di informazioni che si rifà a “una storia che purtroppo è lunga come i tempi”, sottolinea il professore, “e che abbiamo imparato a conoscere benissimo a partire dalla secondo guerra mondiale”. Il problema, ancora oggi, non ha smesso di esistere. Lo dimostrano i casi di Paesi come Siria o Iraq dove il saccheggio di beni artistici è all’ordine del giorno.
Per risolvere gli oltre 560 mila casi di opere ancora non restituite, la normativa europea deve essere più chiara e veloce nell’applicazione. Solo così le vittime di furti e trafugamenti non dovranno più incorrere in ostacoli come la prescrizione perché l’opera è stata rubata cinquant’anni prima. O, altro caso, non dovranno più imbattersi nell’impossibilità di far valere il proprio diritto di proprietari sulle opere che sono state comprate nel tempo da acquirenti ignari che fossero state rubate. Una direttiva esiste in materia ed è quella del 2014 sul diritto d’autore, ma gli Stati membri faticano ancora a trovare un quadro comune in cui agire. Per l’università di Ginevra, il primo passo da fare è quello di stabilire una piattaforma internazionale che sia responsabile di assistere le vittime da un punto di vista legale. In modo, per esempio, da consigliare se optare per una mediazione, un patteggiamento o un arbitrato, oppure se rivolgersi direttamente all’Unesco.
Qualche Paese, in Europa, ha già mostrato grande sensibilità sul tema, altri invece temono di perdere opere famose custodite da oltre cinquant’anni nei loro musei. I Paesi Bassi, per esempio, sono gli unici che hanno seguito il protocollo dell’Aja del 1954, sulla tutela del patrimonio artistico nelle zone di conflitto. Ma i suoi elementi sono diventati vincolanti nella giurisdizione olandese dopo molti anni, nel 2007. Segno che i tempi sono lunghi e le regole da seguire ancora poco chiare.
Il modello a cui ispirarsi, per il professor Renold, è quello degli Stati Uniti dove, nel 1998, con la conferenza di Washington si sono stabilite delle convenzioni agevolate per restituire le opere d’arte trafugate dai nazisti ai loro primi proprietari o ai discendenti. Fino ad arrivare allo scorso aprile quando il Senato Usa ha discusso l’ipotesi di ampliare i termini della prescrizione. La si vorrebbe prolungare a sei anni dal momento del ritrovamento dell’opera e della ricostruzione – spesso difficile – della sua storia dal momento del furto a quello della riscoperta. E poi serve velocità. Ci sono famiglie a cui erano stati sottratti quadri negli anni ’40 che, per vederseli restituiti, hanno dovuto aspettare decenni e spendere molti soldi in processi e battaglie legali. Sia in Monuments men che in Woman in gold il finale è felice. E con un sistema comune all’interno dell’Ue, potrebbe esserlo anche quello dell’Europa.