di Giulio Betti
In queste amministrative 2016, dove si vota per eleggere i consigli comunali di importanti città e paesi italiani, se ne son sentite di tutti i colori. Generalmente le varie forze politiche hanno promesso come al solito mari e monti, dimenticandosi (o facendo finta di non conoscere) i meccanismi del subdolo patto di stabilità, in base al quale se la giunta comunale ha dei soldi in cassa risalenti, ad esempio, all’annualità del 2015, non può utilizzarli e per finanziare lavori nell’anno 2016 deve necessariamente trovare delle entrate di pari valore in questo stesso anno (pur avendo in cassa migliaia o milioni di euro dagli anni passati!) e deve quindi tassare sempre più i cittadini o svendere il patrimonio pubblico nel corso del 2016 (per approfondire, vedi qui).
Già questo sistema di ammanettamento della spesa pubblica locale dovrebbe far gridare allo scandalo le varie forze politiche locali, e soprattutto esse dovrebbero chiedere con forza in campagna elettorale di uscire da questo perverso meccanismo generatore di miseria, mettendo come primo punto del programma elettorale l’unione con altri sindaci di tutta Italia per la rottura del patto di stabilità stesso. Invece no. Meglio continuare ad essere ignoranti sul tema e pensare che «se un comune non riesce a realizzare opere è perché l’amministrazione è inefficiente». Sì, vabbè. Ma c’è di più.
Le varie forze politiche, praticamente in tutti i comuni italiani dove esse sono candidate, hanno portato avanti un progetto ancora più vergognoso, progetto espressione diretta dell’Unione europea. L’idea è questa: «visto che i soldi non ci sono nei comuni, una volta che amministreremo questa città, cercheremo di reperire quanti più fondi europei possibili». Geniale! Finalmente possiamo sconfiggere questa crisi con i fondi europei generosamente elargiti dalla misericordiosa Unione europea. Quanta grazia. Sì, ma in cosa consistono questi fondi UE?
Premetto che la materia è burocraticissima, ma io voglio spiegarla in maniera breve. In sostanza, ogni stato membro dell’UE contribuisce al bilancio dell’UE stessa. Invia soldi presi dalle nostre tasse, denaro che torna indietro sotto forma di fondi europei di vario tipo. Ma quindi sono un affare? No.
Ecco perché:
1. I fondi europei che tornano indietro ad un paese come l’Italia sono briciole. Come si vede dall’immagine sotto riportata, dal 2000 ad oggi abbiamo un saldo negativo nei confronti dell’UE che ammonta a ben 72 miliardi. 72 miliardi di euro che sono spariti dalle nostre tasche, grazie alle tasse che abbiamo pagato. Nei tempi recenti abbiamo versato al bilancio europeo praticamente 6-7 miliardi di euro in più ogni anno rispetto a quelli che ci tornavano indietro (vedi immagine), e soprattutto abbiamo sottratto ricchezza finanziaria dalle tasche degli italiani in un momento di forte crisi di consumi come quello che stiamo attraversando oggi.
2. Noi siamo contribuenti netti al bilancio europeo, quindi versiamo più di quanto ci torna indietro, ma ci sono molti paesi UE che sono beneficiari netti: ottengono più soldi di quanti ne pagano con le loro tasse. Esempi sono la Polonia, la Grecia, la Spagna. Che significa tutto ciò? Che siamo un paese in crisi occupazionale e di domanda, ma che stiamo finanziando altri paesi dell’UE, tra cui la Polonia che ad esempio non soffre di crisi occupazionali come quella dell’eurozona (anche perché si guarda bene dall’entrare nell’euro). I soldi delle tasse dei cittadini italiani vanno a finanziare progetti all’estero, in certi casi anche in paesi che stanno meglio di noi. Sei contento di tutto ciò? Io ho i miei dubbi.
3. Ce ne sarebbe già abbastanza per catalogarli come una presa per i fondelli, ma non basta: una volta che arrivano i fondi europei, questi devono essere ulteriormente co-finanziati dagli Stati membri che beneficiano dei fondi, in quote che vanno dal 50 all’85% del fondo stesso. Non solo sganciamo più soldi all’UE di quelli che ci tornano indietro, ma quando i famigerati fondi arrivano dobbiamo pure nuovamente cofinanziarli.
4. Il co-finanziamento è uno strumento di controllo della spesa pubblica. Perché la spesa pubblica a livello di governo centrale è già vincolata dal deficit limitato al 3% del PIL, inoltre a livello locale la spesa è limitata dal patto di stabilità interno, e con queste difficoltà di reperire fondi per la sanità, la sicurezza e tutti i servizi pubblici essenziali a causa dei parametri fiscali europei, dobbiamo anche andare a trovare ulteriori fondi per co-finanziare fette ingenti dei fondi europei.
5. «Sì, però una volta che arrivano i fondi, almeno possiamo spenderli come vogliamo, per promuovere aree bisognose». Eh no. I fondi europei sono vincolati allo sviluppo di progetti di interesse europeo, stabiliti a Bruxelles dalla Commissione europea. Lo Stato membro, prima di ottenere i fondi, stipula con la Commissione un “accordo di partenariato”, dove vengono definite tutte le modalità di utilizzo dei fondi stessi. L’accordo ovviamente non lascia libertà agli Stati membri, ma deve essere approvato nei minimi dettagli dalla Commissione stessa. Guai a sgarrare, la Commissione definisce la strategia, gli Stati si adeguano. Non ci credete? L’Italia ha predisposto la bozza di partenariato per i fondi UE 2014-2020 a dicembre 2013. A marzo 2014 la Commissione ha fatto pervenire al governo italiano delle modifiche all’accordo stesso. Il governo si è uniformato alla decisione UE e ha mandato la versione revisionata ad aprile 2014. Andava bene? No. A luglio 2014 la Commissione ha mandato al governo ulteriori osservazioni e raccomandazioni, alle quali ovviamente il governo ha dovuto adeguarsi, fino all’approvazione definitiva dell’accordo su come utilizzare i fondi ad ottobre 2014. Tenete conto che se lo Stato non adempie al co-finanziamento dei fondi stessi, sono presenti tutta una serie di sanzioni economiche, ad un paese già in crisi come il nostro. Non so se ci si rende conto della perdita di sovranità alla quale siamo arrivati.
Ma in fondo, perché risolvere questa crisi epocale tornando ad una moneta sovrana, con la flessibilità del tasso di cambio che permette di reagire agli shock esterni, e con la possibilità di aumentare il deficit per rispondere a crisi di domanda come quella che stiamo vivendo oggi? No, molto più efficace avere una moneta troppo forte per la nostra economia, essere vincolati ad un deficit massimo del 3% o fare pareggio di bilancio, non riuscire a garantire i servizi pubblici essenziali, e sperare nei magnificenti fondi europei. Geniale, no?
Pubblicato sul sito di ME-MMT il 4 giugno 2016.