Strasburgo – La plenaria del Parlamento europeo ha approvato a maggioranza schiacciante, oggi a Strasburgo, una risoluzione in cui “condanna” senza mezzi termini la Commissione europea per “non aver ottemperato ai suoi obblighi”, riguardo all’esecuzione della normativa comunitaria sugli interferenti endocrini. L’Esecutivo Ue avrebbe dovuto adottare, entro il 13 dicembre 2013, una decisione riguardante la definizione dei criteri scientifici operativi per individuare e regolamentare questi agenti chimici che interferiscono con le attività ormonali e che sono spesso presenti negli alimenti e in molti prodotti largamente utilizzati nella vita quotidiana dei cittadini. La risoluzione è stata approvata dall’Aula con 593 voti a favore, 57 contrari e 19 astensioni.
Nella risoluzione si sottolinea come il ritardo di oltre due anni e mezzo nella pubblicazione dei criteri per l’identificazione dei perturbatori endocrini rappresenti anche una violazione del diritto comunitario, di cui proprio la Commissione europea dovrebbe essere guardiana.
Anche il Tribunale dell’Unione europea aveva stabilito, con una sentenza del 16 dicembre 2015, che l’Esecutivo Ue aveva violato il diritto comunitario omettendo di pubblicare i criteri entro la scadenza stabilita, e motivando il suo ritardo con la pretesa necessità di sottoporre questa decisione a uno “studio d’impatto” economico.
Per il Tribunale dell’Ue, invece, e oggi anche per il Parlamento europeo, la definizione dei criteri dovrebbe essere determinata da considerazioni obiettive e puramente scientifiche relative alle proprietà delle sostanze e ai loro effetti sul sistema endocrino, “indipendentemente da ogni altra considerazione, in particolare di natura economica”, come si sottolinea nel paragrafo 71 della sentenza del 2015 e nel paragrafo 3 della risoluzione odierna di Strasburgo.
Gli eurodeputati ricordano nella risoluzione (considerando G) che una proposta completa con i criteri scientifici per la definizione dei perturbatori endocrini era già pronta nel marzo 2013, a seguito di tre anni di lavoro dei servizi della Commissione coordinati dal Centro comune di ricerca (Jrc). Tuttavia, questi criteri non sono stati resi pubblici poiché la Commissione ha deciso di effettuare, prima di adottarli, una valutazione sul loro “impatto”.
In sostanza, le definizioni scientifiche sono state subordinate a considerazioni riguardanti le conseguenze economiche di una eventuale limitazione o interdizione d’uso e commercializzazione delle sostanze che sarebbero state riconosciute come interferenti ormonali, in seguito all’adozione di quelle stesse definizioni.
L’operazione, decisa nel 2013, fu “pilotata” dall’ex segretario generale della Commissione, Catherine Day, sotto la pressione delle lobby industriali e con l’appoggio dell’allora presidente dell’Esecutivo comunitario, José Manuel Barroso.
Dopo la sentenza del Tribunale dell’Ue, l’attuale Commissione Juncker si è impegnata, per bocca del commissario alla Salute Vytenis Andriukaitis, a completare lo studio d’impatto e presentare i criteri sulla definizione dei perturbatori endocrini “entro l’estate”.
Nella sua risoluzione, il Parlamento europeo ne prende atto, ma invita l’Esecutivo comunitario ad “adempiere immediatamente ai suoi obblighi”, sottolineando che lo studio d’impatto non era richiesto dalla legislazione pertinente e che la Commissione “non ha la facoltà di modificare l’equilibrio normativo”, modificando i requisiti di un atto legislativo di base attraverso l’uso dei poteri esecutivi che le delegati.
Gli interferenti endocrini sono considerati una minaccia globale dal programma dell’Onu per l’ambiente (Unep) e dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), vista la tendenza all’aumento di numerose malattie del sistema ormonale negli esseri umani e negli animali selvatici. Si ritiene che vi siano prove sugli effetti nocivi nella riproduzione (infertilità, tumori, malformazioni) provocati dall’esposizione a tali sostanze, che potrebbe anche influenzare il normale funzionamento della tiroide e del cervello, nonché il metabolismo, la produzione d’insulina e l’omeostasi del glucosio, con conseguenze sull’obesità.
Lorenzo Consoli per Askanews