Bruxelles – A ripercorrere la storia, è chiaro che fin dall’inizio i britannici non sono stati poi così convinti di voler far parte dell’Unione europea. A soli due anni dalla loro entrata nella Cee i britannici già erano davanti alle urne per votare se rimanere o no nella Comunità economica europea, per una prima vera e propria esperienza di Brexit. Poco convinti, fin da subito.
Mentre con i Trattati di Roma del 1957 Italia, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi si univano nel progetto della Comunità economica europea, il Regno Unito si tirava fuori dall’impresa, geloso della sua sovranità. E nel 1960 si presentava come leader dell’Associazione europea di libero scambio (Efta), una sorta di alternativa alla comunità europea per i Paesi che non ne facevano parte. Ma il sogno di una Unione europea continuava a prendere forza e alla fine, nel 1972, anche la Gran Bretagna, insieme alla Danimarca, all’Irlanda ed alla Norvegia (che però, già nel settembre dello stesso anno, proprio con un referendum decise di non ratificare l’adesione), firmò il trattato di adesione. Il Paese divenne ufficialmente membro della comunità europea il 1 gennaio 1973. Solo due anni e sei mesi dopo, a giugno del 1975, il popolo della Regina fu chiamato ad esprimere il suo parere sul quesito: “Do you think that the United Kingdom should stay in the European Community (the Common Market)?”. Il ‘si’ vinse, con il 67.2% dei voti. A giugno di quest’anno, 41 anni dopo, si ripresenta un referendum sull’appartenenza all’Unione europea. Per ora i sondaggi sulla Brexit mostrano un risultato combattuto all’ultimo voto. Tra tre settimane arriverà il responso.
Nel frattempo è interessante notare che i due referendum condividono alcuni presupposti. Nel 1974 il leader laburista Harold Wilson, sotto cui si tenne il voto per l’appartenenza alla Cee, vinse le elezioni generali con una maggioranza molto sottile. Wilson promise di rinegoziare i termini di adesione della Gran Bretagna e di indire un referendum per decidere se rimanere nella comunità, anche se era sostenitore della partecipazione: “abbiamo perso vent’anni. Loro vanno avanti e noi non possiamo influire nelle loro decisioni”, disse. Allo stesso modo il conservatore David Cameron, favorevole alla permanenza nell’Ue, ha vinto le elezioni generali nel 2015 grazie ad una ristretta maggioranza ed ha promesso di rinegoziare l’adesione all’Unione e di tenere un referendum sulla Brexit. In entrambi i casi i governi si sono divisi sulla questione e ai membri è stato permesso di portare avanti una campagna l’uno contro l’altro. Esattamente 7 membri del cabinet, su 23 nel 1975 e su 22 oggi, si sono schierati contro la permanenza nella famiglia europea. Le riforme che Wilson riuscì a ottenere alla membership del Regno Unito nella Cee furono definite dagli oppositori ‘cosmetic’ (superficiali); in modo molto simile sono state chiamate le condizioni che Cameron è riuscito a contrattare per lo status dell’Uk nell’Unione. Ma mentre 41 anni fa i giornali chiamavano a gran voce il voto ‘in’, oggi la maggior parte si schierano per l‘out’.
Chissà se oltre a condividere questi presupposti, i due referendum condivideranno anche il risultato. Il 23 giugno sarà Brexit o la storia si ripeterà?