di Amedeo Di Maio e Ugo Marani
I richiami alla teoria economica al tempo delle crisi paiono talora imprevedibili e fantasiosi; oggi, tanto per fare un esempio, il superamento di una recessione internazionale che si approssima al decennio di vita viene ipotizzato tramite il varo di misure del tutto radicali, così tanto da superare il pensiero keynesiano e approdare, come per incanto, al suo più tenace oppositore, Milton Friedman.
Paradosso di certo: si scava nel pensiero del più ostinato critico delle politiche keynesiane, anche quando il monetarismo sembra caduto in disgrazia, e si arriva, nel massimo del radicalismo corrente, a resuscitare l’immagine dell’elicottero che, volando sopra di noi, elargisce, per conto della banca centrale, moneta legale ai cittadini di un’economia depressa e afflitta da disoccupazione involontaria.
Supponiamo adesso che un giorno un elicottero sorvoli questa comunità e lanci 1.000 dollari dal cielo, che, ovviamente, verrebbero frettolosamente raccolti dai membri della comunità (Friedman 1969).
L’intento della provocazione di Friedman in questo passo oggigiorno frequentemente ripreso dalla pubblicistica, specializzata e non, era molteplice:
- la riaffermazione del primato della politica monetaria che, essa sola può innescare, nel breve periodo, una ripresa dei livelli di attività o, più frequentemente se mal gestita, determinare recessione e deflazione: un elicottero della banca centrale che facesse piovere denaro determinerebbe una immediata spesa aggiuntiva;
- l’inefficacia relativa delle politiche di deficit spending che, se finanziate con base monetaria aggiuntiva, sarebbero in tutto assimilabili a una politica monetaria espansiva;
- la validità, ma ai fini della nostra argomentazione è qui poco rilevante, della teoria quantitativa poiché inevitabilmente gli effetti-prezzo annullerebbero gli effetti-quantità di breve periodo.
Una visione questa che, storicizzata nel contesto in cui veniva espressa, rappresentava un estremo tentativo di invalidare una teoria mainstream che riconduceva riduttivamente Keynes al primato della politica fiscale e alla gestione anticiclica dell’economia, ma che oggi, paradossalmente, appare come una sorta di ultima spiaggia per contrastare deflazione e recessione.
Nel 2002, Bernanke, quando si trovava alla guida della Federal Reserve, si era meritato l’appellativo di “Helicopter Ben” (Bernanke 2002) per aver ripreso la provocazione aviatoria di Friedman e apprestarsi a lanciare misure di quantitative easing per 42 miliardi di dollari. Più di recente la locuzione friedmaniana è stata fatta propria dalla Bank of Japan, ammiccata da Mario Draghi per la European Central Bank e introdotta nel novero delle politiche possibili dal gotha della monetary economics: a partire da Buiter (Buiter 2014), passando per Woodford (Woodford 2012), per finire a Adair Turner, barone di Ecchinswell e già presidente della prestigiosa Financial Services Authority britannica (Turner 2015). Insomma, l’helicopter money è divenuto uno standard della discussione corrente, apparentemente eterodossa (Reichlin et al. 2013).
Discussione cui non è rimasto estraneo nemmeno il presidente della Banca centrale europea:
Per centinaia di anni le banche centrali hanno iniettato denaro nell’economia attraverso le banche e/o i mercati. Questo è ciò che sappiamo. E non c’è quindi dubbio che queste idee [denaro dall’elicottero] debbano essere discusse: sono in discussione in tutto il mondo e la BCE fa parte di queste discussioni nelle sedi accademiche e in altre circostanze (Draghi 2015).
Anzi, ed è quanto più analiticamente scorretto si possa supporre, l’immagine di Friedman è assimilata ai paradossi di Keynes sulle modalità della politica fiscale in periodo di recessione:
L’idea che il finanziamento puramente monetario sia la risposta definitiva ai danni estremi della deflazione è un punto di convergenza del pensiero economico nel quale si ritrova un accordo totale tra Friedman e Keynes . Friedman (1969) ha descritto il potenziale ruolo del “denaro dall’elicottero” raccolto gratis da terra; Keynes, sorprendentemente, visto che non era un puritano, voleva che almeno la gente dissotterrasse le «vecchie bottiglie [riempite] con le banconote». Ma la prescrizione era la stessa (Turner 2015).
Sull’invalidità dell’omologazione tra Keynes e Friedman torneremo tra breve; ora è rilevante accennare alle motivazioni di una simile posizione estrema sui possibili interventi della banca centrale. Essi sono riassumibili nell’evidenza che, nonostante i tassi di interessi monetari divenuti pressoché dovunque negativi, l’utilizzo di credito bancario da parte del settore privato (imprese e famiglie) continua ad essere assolutamente trascurabile.
Che un simile fenomeno dipenda dall’indisponibilità delle banche europee a concedere credito a soggetti ritenuti “fragili” e che dunque diversificare il proprio portafoglio in titoli o che esso derivi da una debole richiesta di famiglie e imprese poco importa in questa sede. Di fatto la politica monetaria, dal 2008 in poi, ha manifestato una sostanziale incapacità di invertire ciclo e andamento dei prezzi , pur caratterizzandosi sempre più in “unconventional measures”.
Si è assistito ad una sorta di game changer: “Dall’inasprimento della crisi finanziaria la BCE ha introdotto un numero di misure di politica monetaria che non ha precedenti per natura, scopo e grandezza» (Fisher 2012). Il bilancio delle banche centrali dei paesi occidentali “core” si è espanso significativamente tramite l’acquisizione dell’onere del rischio di titoli privati e pubblici avvenuta con i programmi di quantitative easing (ovvero acquistando titoli del debito pubblico tramite la creazione di base monetaria) e con i collateral swaps (sostituendo titoli a bassa qualità delle banche con titoli pubblici più affidabili). Sino ad arrivare al cosiddetto QQE, il qualitative and quantitative Easing, secondo il quale la banca centrale acquista direttamente sul mercato secondario titoli emessi da istituzioni private non bancarie.
Si tratta, senza alcun dubbio, della fine dell’art of central banking à la Bagehot, della discrezionale iniezione di base monetaria all’economia, della distinzione tra istituzioni illiquide e istituzioni insolventi, in una mutazione in cui il duty del banchiere centrale è “costringere” l’economia ad utilizzare liquidità aggiuntiva.
Eppure, anche agli studenti neofiti di macroeconomia, un sistema è noto: la monetizzazione del disavanzo pubblico, anche in forme altrettanto provocatorie del money rain:
Se il Tesoro dovesse riempire vecchie bottiglie con banconote, sotterrarle ad opportune profondità nelle miniere di carbone in disuso… e lasciasse all’iniziativa privata, sulla base dei consolidati principi del laissez faire, il compito di dissotterrare le banconote… non dovrebbe esserci più disoccupazione e… il reddito reale della comunità… sarebbe probabilmente di gran lunga più elevato di quanto in effetti è (J. M. Keynes 1936, p. 129).
Ovvero un sistema di money in a bottle, con l’intermediazione del settore pubblico, risulterebbe certamente più realistico del money rain dell’elicottero: in quest’ultimo caso la banca centrale creerebbe e trasferirebbe moneta agli individui direttamente, eliminando l’intermediazione del Tesoro e originando quel che oggi è etichettato come quantitative easing for the people; nel primo, la versione keynesiana, la banca centrale sarebbe disponibile, esplicitamente o in concreto, a concordare una creazione di base monetaria coerente con gli interventi decisi dal Tesoro. I soggetti attuatori dei due interventi, per così dire, sarebbero diversi: nel primo caso banca centrale e singoli soggetti, presumibilmente consumatori, nel secondo caso autorità fiscale e chi fosse interessato dalla manovra di deficit spending.
Realismo, equità e senso della storia della funzione di preferenze della politica economica condurrebbero inevitabilmente a privilegiare la seconda ipotesi, ovvero una politica fiscale espansiva con monetizzazione del nuovo disavanzo pubblico da parte della banca centrale: vi è da chiedersi come mai oggi, né banchieri né economisti paludati riprendano la “soluzione banale” non sia e preferiscano discettare sulle ipotesi fanta-economiche dell’helicopter money. Evidentemente l’avversione e i sospetti verso il deficit spending prevalgono sul senso di decenza del solo distribuire moneta a chicchessia senza criteri e fondamenti razionali.
[N]on riusciamo del tutto a comprendere il richiamo all’elicottero di Friedman. Non riusciamo a comprendere anche perché Friedman ipotizza un banchiere centrale-pilota, tra l’altro non particolarmente generoso oppure non certo del verificarsi dell’effetto sperato; nell’esempio di Friedman il popolo vedrebbe cadere dal cielo i famigerati 1.000 dollari e il singolo cittadino, se fortunato, avrebbe conquistato un solo pasto gratis. Non riusciamo nemmeno a capire perché, come è stato richiamato, quei circa 1.000 dollari dovrebbero partecipare al finanziamento dell’indebitamento pubblico, poiché, come è noto, il pareggio del bilancio rappresenta un obiettivo imprescindibile, un principio costituzionale cui policy maker e burocrati europei devono obbedire perinde ac cadaver, riprendendo il motto dei gesuiti, oggi più consono ai rinati ordoliberisti.
Una possibile risposta forse risiede nel desiderio degli economisti che richiamano quell’elicottero, di costruirsi nobili antenati per le loro deboli tesi; deboli, perché una lettura meno superficiale della proposizione di Friedman che stiamo discutendo, condurrebbe alle conclusioni cui abbiamo già accennato. Da ciò è possibile evincere che siamo in presenza di una interpretazione attualizzante della storia che ha un significato ben diverso dalla inevitabile lettura al presente teorizzata da Benedetto Croce. La lettura attualizzante di un racconto passato dipende dalla posizione del lettore nel dibattito corrente. Forse non a caso, il richiamo alla interpretazione attualizzante è frequente in teologia, ritenuta invece inaccettabile nel metodo della ricerca storica. Per capire il richiamo all’elicottero di Friedman occorre allora capire la posizione nel dibattito attuale di chi questo richiamo ha fatto.
E passiamo con riferimento esclusivo al deficit spending (il secondo punto indicato nell’elenco all’inizio di questo scritto), il reale contenuto del dibattito al tempo di Friedman. Il dibattito, invero non appassionante, era quello tra monetaristi e fiscalisti e come è stato già riferito, la maggiore efficacia della politica monetaria, non significa, per Friedman, totale assenza della politica fiscale. Oggetto del dibattito era il diverso meccanismo di trasmissione originato da politiche “monetarie” alternative. In altre parole si distingueva l’aumento dell’offerta di moneta causato da una variazione nel tasso di interesse da una variazione della stessa causata dal deficit del bilancio pubblico. Nel primo caso si parlava di politica monetaria espansiva, nella seconda a essere espansiva era da intendersi la politica fiscale, perché la ragione prima dell’espansione stava nella decisione politica del disavanzo. La seconda politica veniva ritenuta più espansionistica della prima, ma solo perché il disavanzo veniva finanziato tramite aumento dell’offerta di moneta. In situazione di recessione si giustifica l’elicottero come «eccezionale, miracoloso evento» (Friedman 1968, p.9) che fa piovere moneta con un suo «aumento costante». Osserva Kaldor come sia inevitabile assumere l’ipotesi dell’elicottero, se si vuole che un’offerta di moneta generi un aumento dei prezzi e dei redditi (Kaldor 1970, p. 4).
Kaldor deduce ulteriormente che l’assunto metaforico dell’elicottero implicitamente contiene anche la legittimità, per Friedman, del disposto combinato di una politica fiscale espansiva accompagnata da conseguente politica monetaria anch’essa espansiva. D’altro canto, proprio questa combinazione dell’utilizzo degli strumenti di politica economica evita il determinarsi dell’effetto di crowding out sempre richiamato dai monetaristi per dimostrare l’inefficacia di una politica fiscale pura; quella che copre il deficit con debito pubblico o con incrementi nella tassazione.
L’ipotesi dell’elicottero contempla quindi una offerta di moneta che arriva nell’economia attraverso il deficit del bilancio pubblico. L’elicottero è uno strumento anomalo perché elargisce moneta in modo casuale mentre non è da considerarsi tale l’aumento di moneta che esso necessariamente contiene.
Immaginare il finanziamento con moneta del disavanzo pubblico come politica austera ci parrebbe eccessivo. Il ricorso all’elicottero è quindi una dichiarazione di finita austerità? Come si concilia l’incremento di offerta di moneta, a fini espansionistici dell’economia, con l’austerità rappresentata dal pareggio dei bilanci pubblici?
Due sono, riteniamo, le uniche possibili logiche ipotesi che rispondono al quesito appena enunciato. La prima è che l’elicottero sorvola i cieli dell’Unione monetaria e disperde moneta indipendentemente dalla politica fiscale e quindi dalle condizioni della finanza pubblica degli Stati che compongono l’area dell’euro, perché l’elicottero è solamente preoccupato del basso tasso di inflazione. La seconda è che l’elicottero intende compensare la contemporanea riduzione di spesa pubblica volta al raggiungimento del pareggio dei bilanci pubblici dei medesimi Stati.
Nella prima ipotesi, che ci sembra essere quella prevalente nel richiamo attuale all’elicottero spargi-soldi, non è molto chiara la tecnica del volo e dello sganciamento di moneta. Si legge su alcuni giornali (in Italia sul Sole 24 Ore, 1 maggio 2016) che «il denaro sganciato dagli elicotteri assumerebbe la forma di pagamenti forfettari in favore delle famiglie, oppure buoni di consumo per tutti i cittadini, finanziati esclusivamente dalle banche centrali». Se l’autore di questo racconto fosse un Andersen, un Carroll, un Goldoni allora ci divertiremmo a immaginare la piccola fiammiferaia (che è quella che ne ha maggior bisogno), Alice e Pinocchio saltellare felici mentre raccolgono le banconote cadute dal cielo e sapere che da allora in poi vissero felici e contenti. La principale preoccupazione di chi immagina questo scenario è che i governi e i popoli potrebbero essere tentati a rinunciare a politiche economiche strutturali e al rigore di bilancio confidando nell’arrivo periodico dell’elicottero. Come abbiamo già abbondantemente riferito, la via più facile e logica sarebbe quella del finanziamento monetario del deficit pubblico e tuttavia ciò significherebbe far dipendere l’offerta di moneta da decisioni politiche.
La seconda ipotesi potrebbe evitare questo pericolo e indurre i governi a rispettare i principi cui si ispira il Brussels-Frankfurt-Washington consensus, tra i quali vi è una politica monetaria volta alla stabilizzazione dei prezzi e una finanza pubblica indirizzata al pareggio del bilancio pubblico. In altre parole, una politica monetaria espansiva ma rispettosa dei vincoli del bilancio pubblico, potrebbe essere tale da garantire un incremento dell’offerta di moneta solo nella misura tale da compensare la riduzione della spesa pubblica e relativa tassazione. Questo ridimensionamento del saldo del bilancio pubblico sarebbe quindi compensato dall’elicottero di Friedman che sparge moneta direttamente sui cittadini e non più attraverso la spesa pubblica. I cittadini, inoltre, godrebbero di un maggior reddito disponibile, anche a causa della minore tassazione. Questo scenario non è stato ancora suggerito ma ci sembra l’unica alternativa logica di un elicottero monetarista e ordoliberista.
Le due ipotesi hanno in comune il desiderio di evitare qualsiasi considerazione politica. Non importa, infatti, chi beneficia della moneta caduta dal cielo: la distribuzione casuale della ricchezza non deve necessariamente confrontarsi con quella che si determinerebbe attraverso il finanziamento del deficit di bilancio. Nella seconda ipotesi non importa nemmeno che l’offerta di moneta possa determinare un effetto di crowding out di segno opposto a quello considerato dai monetaristi, nel senso di una offerta di moneta che spiazza la spesa pubblica con possibili effetti non desiderati per l’inefficacia della politica monetaria in una economia in recessione.
Infine, ai fini degli effetti sui prezzi e sui redditi non è agevole comprendere la differenza tra la pioggia di moneta sparsa dall’elicottero e il finanziamento del deficit spending, se non in chiave unicamente ideologica.
Continuiamo quindi a pensare l’elicottero come un personaggio da favola che distribuisce denaro in un mondo abitato da fantasiosi e fantastici personaggi. Lasciamo quindi ad altri strumenti l’attuale realtà economica.
Pubblicato su Keynes blog il 26 maggio 2016.
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Bernanke B. (2002), Deflation: Making Sure “It” Doesn’t Happen Here, 21 novembre.
Buiter W. H. (2014), The Simple Analytics of Helicopter Money: Why It Works, 13 giugno.
Draghi M. (2015), Quarterly Monetary Dialogue, EU Parliament’s Committee on Economic and Monetary Affairs, 23 settembre.
Fisher P. (2012), Developments in Financial Markets, Monetary and Macroprudential Policy, Richmond University, 25 Settembre.
Friedman M. (1969), Optimum Quantity of Money and Other Essays, Chicago, Aldine Publishing Company.
Kaldor N. (1970), “The New Monetarism”, in Lloyds Bank Review, ottobre.
Keynes J. M. (1936). The General Theory of Employment, Interest and Money.
Reichlin L, Turner A. e Woodford M. (2013), “Helicopter Money as a Policy Option”, VoxEU, 20 maggio.
Turner A. (2015), Between Debt and the Devil: Money, Credit, and Fixing Global Finance, Princenton University Press (recensione).
Woodford M (2012), Methods of Policy Accommodation at the Interest-Rate Lower Bound, discorso alla conferenza di Jackson Hole.