Roma – “Tra quelli europei, il sistema di protezione sociale del nostro Paese è uno tra i meno efficaci”. È il rapporto annuale dell’Istat, presentato oggi a Montecitorio, a fotografare questo record negativo dell’Italia. Nonostante la spesa per il welfare sia del 28,6% del Pil, e dunque più alta della media europea (27,7%), nel 2014 la quota di italiani “a rischio povertà si è ridotta di 5,3 punti”, passando dal 24,7% al 19,4%, a fronte di una “riduzione media nell’Ue a 27 di 8,9 punti”.
L’Istituto nazionale di statistica denuncia inoltre una troppo elevata sperequazione distributiva. “La differenza di genere è una delle principali fonti di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi lordi da lavoro sul mercato”, segnala l’Istat, indicando che “per gli uomini occupati è relativamente più facile che per le occupate raggiungere livelli più elevati di reddito”. Il divario si registra anche su base generazionale, con i giovani svantaggiati rispetto alle generazioni più adulte, e in relazione al livello di istruzione.
Il rapporto conferma il trend di crescita che dopo 3 anni ha visto tornare il Pil al segno più nel 2015 (+0,8%), e fa registrare un ulteriore incremento dello 0,6% consolidato nella prima parte del 2016. Un ritorno alla crescita che c’è, indicano le statistiche, ma che è ancora basso e fatica ad aumentare di ritmo.
Anche sul fronte dell’impiego il trend è positivo ma ancora insufficiente a giustificare euforia. Il tasso di occupazione è aumentato dello 0,6% lo scorso anno rispetto al precedente, ma rimane di 2,3 punti percentuali inferiore a quello del 2008, anno di inizio della crisi. Nella generazione tra i 15 e i 34 anni il divario è anche più ampio. All’inizio della recessione, il tasso di occupazione giovanile era del (50,3%), adesso è al 39,2%. Esistono poi 2,2 milioni di famiglie senza reddito da lavoro, e al Sud sono una su 4.