di Maurizio Sgroi
L’economia dei tassi a zero o negativi ha condotto gli investitori a doversela vedere con un mondo che ormai deve gestire quasi 10.000 miliardi di bond pubblici, 9,9 trilioni per la precisione, che hanno rendimenti negativi. Tale evidenza, che viene puntualmente riportata in un recente studio di Fitch, genera esiti di difficile comprensione quanto alle ulteriori conseguenze che potrebbero provocare sul nostro equilibrio finanziario, in particolare per alcuni investitori che necessitano di avere rendimenti positivi per poter ripagare le loro obbligazioni.
Per dirla con le parole di Fitch, «la crescita nell’ammontare di debito sovrano a rendimento negativo sta aumentando la pressione sugli investitori che dipendono pesantemente dai redditi che provengono dalle obbligazioni governative». In particolare si fa riferimento alle banche, le assicurazioni e gli altri investitori in titoli sovrani, tipo i fondi pensione.
«Le politiche monetarie non convenzionali in Giappone e in Europa – ha spiegato Robert Grossman, managing director di Macro Credit Research dell’agenzia – hanno spinto i rendimenti ancora più in basso, limitando l’abilità degli investitori a ottenere profitto attraverso i redditi da investimenti».
I dati dicono che questi 9,9 trilioni di debito a rendimento negativo si suddividono in 6,8 trilioni a lungo termine, mentre i restanti 3,1 trilioni sono a breve, quindi sono strumenti del mercato monetario. La simulazione, svolta sui valori registrati al 25 aprile scorso, ha calcolato che questa montagna di obbligazioni genera uno yield negativo per 24 miliardi di dollari. Ciò vuol dire che chi ha comprato queste obbligazioni ha praticamente “pagato” ai debitori questa cifra solo per il fatto di acquistare questi titoli. È interessante sottolineare che in tempi normali, quindi quando le obbligazioni generavano un rendimento positivo, i rendimenti sarebbero stati ben diversi. Ai rendimenti del 2011, quando lo yield era quotato l’1,23%, gli investitori avrebbero potuto contare su incassi per 122 miliardi. Se si andasse ai rendimenti del 2006, quotati all’1,83%, sarebbero stati 180 miliardi.
Questa sorta di rivoluzione culturale – per la quale i creditori pagano i debitori anziché il contrario – genera importanti ricadute sui comportamenti finanziari degli investitori. «Il desiderio di generare migliori ritorni può condurre banche e compagnie di assicurazioni, fondi monetari e altri investitori ad allungare le scadenze o abbassare la qualità del credito media dei loro portafogli, contribuendo ad aumentare i rischi del sistema finanziario. Una delle possibili implicazioni di uno stock crescente di debito a yield negativo è la domanda crescente di security governative a più alto rendimento, come i Treasury USA, abbassando ulteriormente i rendimenti a lungo termine, complicando lo sforzo della Fed nell’aumentare i tassi a breve più tardi nel corso di quest’anno».
Insomma, la politica dello ZLB [zero lower bound, ossia la soglia dei tassi di interesse nulli, NdR] può creare i presupposti della sua stessa irreversibilità. La trappola perfetta.
Per la cronaca, vale la pena osservare che il solo Giappone pesa il 66% di questa montagna di debito a rendimento negativo, grazie alle politiche di QQE [quantitative and qualitative easing, NdR] realizzate dalla BoJ, che ha portato alcuni rendimenti in zona negativa e potenziato gli acquisti di bond governativi. Il resto è localizzato in Europa.
La sindrome giapponese ormai ci ha contagiato.
Pubblicato sul blog dell’autore il 17 maggio 2016.