di Andrea Fumagalli
La mattina del 6 maggio 2016, le agenzie di stampa hanno reso noto che la procura di Trani ha aperto un’indagine per manipolazione di mercato contro Deutsche Bank e il suo ex management. L’inchiesta, ha preso le mosse da una denuncia dell’ADUSBEF e riguarda l’attività di speculazione avviata dal colosso finanziario tedesco nel primo semestre del 2011 a danno dei titoli di Stato italiani.
Gli indagati sono cinque: l’ex presidente di Deutsche Bank Josef Ackermann, gli ex co-amministratori delegati Anshuman Jain e Jürgen Fitschen (attualmente co-amministratore delegato uscente della banca), l’ex capo dell’ufficio rischi Hugo Bänziger, l’ex direttore finanziario ed ex membro del board di Deutsche Bank, Stefan Krause.
La notizia è stata riportata in evidenza sui siti dei principali quotidiani italiani, ma solo sino a mezzogiorno. Il giorno dopo, se ne sono già perse le tracce. Inoltre alcuni tasselli della vicenda, quelli più “compromettenti”, sono stati volutamente dimenticati. Considerando lo stato dell’informazione libera in Italia, non c’è di che stupirsi.
Un’ordinaria storia di speculazione finanziaria
Ricordiamo come funziona il meccanismo della speculazione. Alcune grandi società finanziarie iniziano a vendere i titoli di Stato dei paesi che, a loro giudizio (d’accordo con le società di rating) corrono il rischio di avere difficoltà di finanziamento. L’intervento delle società di rating, tramite il declassamento di parametri fittizi di valutazione del rischio, ha l’obiettivo di certificare ufficialmente una situazione di panico, spesso artificialmente creata. Nel caso dei titoli di Stato, le situazioni emergenziali hanno l’obiettivo di colpire il sistema di welfare. È facilmente riscontrabile infatti il nesso di causa ed effetto tra declassamento del titolo di Stato e inizio della sua perdita di valore. Il punto, più volte denunciato a parole ma mai seriamente affrontato nell’agenda dei cosiddetti “riformatori” dei mercati finanziari e di coloro che dovrebbero garantire la stabilità finanziaria (ieri, il Financial Stability Forum, oggi l’European Financial Stabilisation Mechanism – EFSM), è l’elevata collusione tra le società di rating e i grandi investitori istituzionali, che vedono spesso sovrapposizioni di cariche nei consigli di amministrazione, nonché partecipazioni incrociate.
La convergenza di interessi (rispetto al cui conflitto, quello di berlusconiana memoria fa ridere) favorisce, in tal modo, il deprezzamento del valore dei titoli, inducendo aspettative negative sul loro valore atteso nel futuro. I tassi d’interesse relativi all’emissione dei nuovi titoli inizia a crescere, ampliando il differenziale (spread) con l’interesse sui titoli di Stato considerati più sicuri (come quelli tedeschi). Tale tendenza si autoalimenta sino a creare un’emergenza (shock economy, direbbe Naomi Klein) che obbliga la Banca centrale europea ad intervenire comprando, sui mercati secondari, i titoli di Stato più sotto attacco in cambio di nuova liquidità monetaria (dando così origine all’odierno quantitative easing, che quindi si rivela come un finanziamento indiretto e indotto alla stessa speculazione finanziaria), e, allo stesso tempo, chiedendo e imponendo misure economiche drastiche volte fittiziamente a ridurre il deficit pubblico. È il segnale che la speculazione ha vinto. Tutto ciò è abbastanza noto. Ciò che è meno noto è che, in contemporanea, il valore dei titoli derivati che assicurano i titoli di Stato (credit default swaps, CDS, e i derivati future, quotati alla borsa di Londra) cresce enormemente, in modo proporzionale all’ampliarsi dello spread sui tassi d’interesse. Ciò consente ai possessori dei derivati di poter lucrare elevate plusvalenze. Fin qui la spiegazione teorica.
Ciò che è successo nel primo semestre del 2011 ricalca questo schema. Nei primi sei mesi del 2011, Deutsche Bank ha ridotto dell’88 per cento la propria esposizione sui titoli di Stato italiani, riducendo il proprio portafoglio di titoli dagli 8 miliardi detenuti alla fine del 2010 a 997 milioni di euro del settembre-ottobre 2011 (fonte: Financial Times), dando, così, inizio all’aumento dello spread tra BTP italiani e bond decennali tedeschi. Ricordiamo che tale politica di vendite aveva interessato in precedenza la Grecia e anche altri paesi europei, con riduzioni dell’esposizione verso Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna e Grecia di quasi il 70%. In questi casi, soprattutto per quanto riguarda la Grecia, la multinazionale finanziaria che si era maggiormente distinta è stata Goldman Sachs (che vedeva, sin dal 2005, tra i suoi international advisors – ovvero consigliere economico per gli affari internazionali – proprio quel Mario Monti che sarebbe divenuto nel novembre successivo primo ministro italiano, dopo essere stato nominato senatore a vita dal presidente Napolitano quattro giorni prima!).
A seguito delle vendite di Deutsche Bank, il valore dei BTP italiani inizia a ridursi e lo spread con gli analoghi titoli tedeschi inizia ad aumentare sino a superiore quota 300 in estate per arrivare a metà novembre a oltre 600. I tassi di interessi sono passati dal 3% a oltre il 7% nel giro di pochi mesi, con un aggravio nella spesa per interessi stimato in circa 8-9 miliardi di euro.
È in questo intervallo di tempo, che viene conclamata la fase d’emergenza. Il governo Berlusconi non viene ritenuto più affidabile, la BCE invia la famosa lettera di richiamo a firma Draghi-Trichet, nella quale si indica l’agenda di politica economica da attuare per correre ai ripari e prendere misure di controllo del debito pubblico: aumento dell’imposizione fiscale indiretta (leggi IVA, guarda caso l’imposta più regressiva), riduzione delle spese di welfare in nome dei diktat del pensiero neoliberista, deregulation del mercato del lavoro, ampliando i gradi di precarizzazione e riducendo le garanzie sul lavoro.
A 5 anni di distanza, tutto ciò si è puntualmente realizzato, grazie al lavoro servizievole, prima del governo Monti-Fornero, poi Letta e ora Renzi. Ciò che non è avvenuto è invece proprio la riduzione del rapporto debito/PIL, in nome del quale sono sta fatte ingoiare e vendute come ineludibili le politiche attuate. Contemporaneamente, il valore dei derivati sul debito italiano è aumentato di quasi cinque volte, consentendo così enormi guadagni in termini di potenziali plusvalenze. Si scoprirà poi solo successivamente che la stessa Deutsche Bank deteneva quote cospicue di tali derivati ed è su questo punto che indaga la procura di Trani, per verificare se sono stati commessi atti di «turbativa dei mercati finanziari». Ed è proprio questo particolare (che proprio “particolare” non è) che, guarda caso, non viene ricordato oggi dalla stampa italiana.
A inizio novembre 2011, l’allora presidente di Deutsche Bank Josef Ackermann in un intervento ad una conferenza a Berlino dichiara che Deutsche Bank comincerà di nuovo a comprare titoli di Stato italiani. È il segnale che la situazione è arrivata al punto giusto e si ritiene che i titoli abbiano raggiunto il giusto ribasso, anche dopo che adeguati provvedimenti di politica economica sono stati intraprese a vantaggio dei mercati finanziari. Come d’incanto, l’emergenza cessa. Gli acquisti ricominciano, le borse si risollevano e gli investitori istituzionali iniziano a far incetta dei titoli di stato ai valori minimi. Nel giro di pochi giorni si maturano plusvalenze di tutto rispetto, che, per Deutsche Bank, si sommano ai guadagni sui derivati. In poche parole, si ricompra a 40 ciò che era stato venduto pochi mesi prima a 100. Si calcola che dopo l’attacco speculativo contro i titoli italiani, greci e spagnoli, con cali delle borse delle principali piazze finanziarie di oltre il 7-8%, il recupero sia stato tale da riportare gli indici azionari ai valori precedenti, con plusvalenze che hanno raggiunto livelli record in pochi giorni, sino a consentire a Goldman Sachs di godere di maggior liquidità della stessa Federal Reserve americana. È il capitalismo finanziario, bellezza!
Non c’è nulla di irrazionale in questa vicenda, nessuna euforia irrazionale, né comportamenti di eccessiva ingordigia. Semplicemente l’esercizio di un potere consolidato da anni di violenza finanziaria incontrastata in nome dell’ideologia di mercato. E non c’è nulla di illegale, perché la violenza del potere economico è sempre legale, mentre sappiamo bene che chi si oppone a tale violenza viene subito considerato illegale. Per questo difficilmente l’inchiesta della procura di Trani potrà arrivare a una sentenza di colpevolezza. Così come avverrà per l’inchiesta ancora in corso sulla società di rating Fitch, in particolare contro uno dei due suoi analisti che avevano pubblicamente annunciato il declassamento dell’Italia nel gennaio 2012, declassamento che poi effettivamente ci fu poche settimane dopo, il 27 gennaio 2012. In questo caso, il reato era quello favoreggiamento di insider trading, quasi a voler favorire la continuazione di quella speculazione al ribasso perseguita da Deutsche Bank nei mesi precedenti. Si noti che un’analoga inchiesta, svoltasi a Milano (non a caso capitale finanziaria, ovvero degli interessi finanziari, d’Italia), era sta archiviata per non aver commesso il fatto.
Di fronte a tale violenza, c’è poco da fare, se non armarsi di strumenti alternativi in grado di creare spazi crescenti di autonomia finanziaria.
Pubblicato su Effimera l’8 maggio 2016.