di Pasquale Cicalese
«Qualora il finanziamento sia già garantito da ipoteca, il trasferimento successivamente condizionato all’inadempimento, una volta trascritto, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente all’iscrizione ipotecaria».
Comma 4 articolo 2 del Decreto Legge n. 59 del 3 maggio 2016
Si lamentano, i banchieri, perché manca la retroattività del decreto. Ma come, dicono, per la risoluzione di Popolare Etruria e il relativo bail-in si è attuata la retroattività e sulle norme riguardanti il recupero crediti no?
Basta leggere il comma di cui sopra, per capire che si è trovata la quadra. È il “patto marciano”, vale a dire il trasferimento al creditore di beni del debitore qualora quest’ultimo sia inadempiente dopo tre rate. Ti tolgono tutto, capannoni, macchinari, scorte di magazzino, seconde case, ecc. Ti lasciano solo la casa di residenza. Il patto marciano può essere infilato in un nuovo contratto tra debitore e creditore.
Il gioco è semplice: la banca chiama l’imprenditore a cui ha dato un fido e gli dice di ricontrattare tutto altrimenti glielo toglie. L’imprenditore è costretto ad accettare e a firmare le nuove condizioni. Se dopo sei mesi non paga le rate gli sequestrano tutto, senza lo strumento dell’ipoteca, per la qual cosa si dovrebbe passare da un procedimento giudiziario. Sarebbe automatico.
Si è arrivato, dunque, allo spossessamento del debitore. Per cifre enormi: le sofferenze bancarie sono 200 miliardi, di cui 140 miliardi di imprese non finanziarie. I crediti deteriorati sono invece 360 miliardi, la gran parte di aziende. Praticamente l’ossatura della struttura industriale italiana si troverà nei prossimi anni ad onorare debiti, altrimenti i beni verranno confiscati dalle banche.
Che ne faranno? Ci sono garanzie di immobili per 100 miliardi e 37 di garanzie personali. Verrebbero venduti a fondi, concorrenti italiani o acquirenti esteri. Il panorama industriale italiano cambierebbe volto. O verrebbe definitivamente distrutto, dopo aver già perso il 25%.
Siamo di fronte alla più grande svendita del paese della storia moderna, alla più imponente distruzione di capitale, superiore alla seconda guerra mondiale, con effetti sociali dirompenti.
Quel che definimmo la seconda linea del fronte verrebbe distrutta nel giro di pochi anni.
Si è arrivati dunque al redde rationem, dopo cinque anni dalla famosa lettera della BCE che imponeva all’Italia un percorso infernale di riforme che hanno portato alla più grave recessione degli ultimi 150 anni. Si è dato un colpo micidiale al salario sociale globale di classe, si è attuata la deflazione salariale, è stato imposto un feroce credit crunch che ha colpito al cuore l’imprenditoria italiana, si è riformata la Costituzione con il fiscal compact. Risultato: sono esplosi i crediti deteriorati. Ora si passa all’incasso. Si distrugge la struttura industriale per via bancaria attraverso quell’unione bancaria che Enrico Letta definì a suo tempo un «successo dell’Europa unita».
Mediante il meccanismo della vigilanza europea negli ultimi due anni c’è stato un accanimento pazzesco della BCE nei confronti del sistema bancario italiano, reo di attuare la funzione di banca commerciale, cioè fornire credito all’economia reale. Infischiandosene dei derivati di cui sono pieni i sistemi bancari del Nord Europa, la vigilanza ha imposto alle banche italiane aumenti di capitale, accantonamenti e regole varie che hanno bloccato l’erogazione del credito.
Ora si impone il rientro dai crediti deteriorati, il più velocemente possibile e si incomincia a parlare di rischio dei titoli di stato, di cui le banche italiane sono zeppe (445 miliardi di euro), con relativi nuovi aumenti di capitale. Si sono riformate le banche popolari e quelle di credito cooperativo, portandole assurdamente nel mercato azionario. C’era il problema delle banche da ricapitalizzare: le banche italiane hanno dato vita ad Atlante, che fortunatamente è intervenuta nella ricapitalizzazione della Popolare Vicenza e successivamente di Veneto Banca. Ci sarebbe poi Carige, MPS e varie casse di risparmio, ma la dotazione finanziaria, pari a 4,25 miliardi, potrebbe non essere sufficiente ed in ogni caso questa massa di capitale servirebbe unicamente agli aumenti di capitale delle banche citate e non certo a comprare sofferenze bancarie a livello di libro.
Perché qui è la faccenda: con il bail-in della Popolare Etruria, assurdamente analizzata come un fatto di cronaca nera, le sofferenze bancarie sono state vendute, per imposizione europea, al 17% del valore. Le banche hanno sofferenze bancarie nette, dopo accantonamenti, pari a 87 miliardi a valore di libro del 45%. La differenza tra il 17 e il 45% è pari a decine di miliardi, e se fossero vendute come quelle della Popolare Etruria le perdite sarebbero enormi.
È intervenuto il decreto legge 59 per accelerare il recupero crediti, ma non essendo retroattivo in borsa stanno ancora perdendo capitalizzazione. In ogni caso, con il patto marciano, che può essere sottoscritto tra creditori e debitore, lo spossessamento di chi non è in regola con i pagamenti sarebbe immediato. Data la continua situazione di stress economico della struttura industriale (si è recuperato appena l’1% di quanto precedentemente perso e la chiamano ripresa), per cui alcuni parlano di un euro che sta asfissiando il sistema economico (si veda Gianfelice Rocca della Techint sul Financial Times di marzo), non si esclude affatto una vendita massiccia di proprietà industriali al miglior compratore.
Insomma, l’Unione europea impone misure draconiane all’Italia che provocano la più grave recessione della storia contemporanea, il sistema economico va in tilt, il sistema bancario viene investito da una mole impressionante di crediti deteriorati e a questo punto interviene nuovamente l’Unione europea per chiedere la risoluzione del problema delle sofferenze bancarie.
Il sistema bancario è sotto pressione via vigilanza europea, il sistema industriale è sotto pressione via sistema bancario italiano, e i salariati sono massacrati dal sistema economico. Questo è il quadro italiano.
Se ne esce solo con una netta soluzione, l’uscita dall’euro. Non esistono ricette keynesiane, ancorché te le facciano fare. L’alternativa è un’ancora più feroce depressione economica, la perdita di quel che rimane del sistema industriale e una nuova più acuta deflazione. Di certo con queste nuove norme crollerà la domanda di credito degli imprenditori (chi vuoi che prenda denaro a queste condizioni?) e da qui ci sarà il crollo degli investimenti e della domanda reale, dunque recessione certa.
Si è prossimi alla più grande svendita di capitale industriale, se continua così si avrà, dopo, la svendita dei beni pubblici e l’Italia andrà dritta nei paesi in via di sviluppo. Questo è il disegno dell’euro, l’annichilimento dell’Italia per togliere un concorrente alla Germania. Per farlo occorrono quinte colonne interne, i collaborazionisti. Quelli che parlano delle virtù dell’Europa. Non sappiamo se questo disegno avrà successo, di certo continua la sua marcia imperterrita perché non trova opposizione. A meno che il secondo fronte, l’apparato industriale italiano, si ribelli. Lo sapremo nei prossimi mesi, quando le crisi aziendali esploderanno.
Pubblicato su Marx21.it il 13 maggio 2016.