Roma – “Non possiamo riconoscere alla Cina lo status di economia di mercato (Mes), semplicemente perché non è un’economia di mercato”. Il vicepresidente del Parlamento europeo, il popolare Antonio Tajani, è netto nel bocciare l’ipotesi di attribuire il Mes al gigante asiatico. Concordano pienamente con lui l’altro vicepresidente italiano dell’Assemblea di Strasburgo, il socialista David Sassoli, e l’eurodeputato del Movimento 5 stelle, David Borrelli, organizzatore di un dibattito che si è tenuto oggi a Roma.
Scopo dell’iniziativa, spiega Borrelli, è alimentare la discussione “perché il Parlamento europeo definisca una sua posizione prima che la Commissione intraprenda il suo percorso” per il riconoscimento. Posizione che gli italiani, in modo trasversale agli schieramenti politici, vorrebbero che fosse di ferma contrarietà.
Il perché lo si intuisce dalle dimensioni delle conseguenze che si verificherebbero nel momento in cui la Cina fosse considerata un’economia di mercato dall’Ue. È Sassoli a illustrarle, sottolineando che, a causa del dumping sui prezzi – la Cina avvierebbe una concorrenza spietata in molti settori dove ha costi di produzione notevolmente più bassi –, “l’Italia pagherebbe il 40% delle ricadute negative sul piano europeo”. In pericolo ci sono “tra i 200mila e i 500mila posti di lavoro solo nel nostro Paese”, e a livello di Unione europea il rischio è di perderne in tutto “tra gli 1,7 e i 3,5 milioni”.
“I giuristi della Commissione europea ci dicono che sia inevitabile riconoscere lo status di economia di mercato alla Cina”, sottolinea l’europarlamentare socialista francese Edouard Martin, componente della commissione industria, sostenendo che invece “si può e si deve” rifiutare tale ipotesi e che farlo “non ci porterà alla guerra” con la Cina.
Per Tajani, la linea da seguire ha un doppio binario. Da un lato la “difesa delle regole anti-dumping” previste dall’Organizzazione mondiale del commercio, che consentono di difendersi dall’aggressione cinese sui mercati. Dall’altro “bisogna cambiare le regole europee sulla concorrenza”. A suo avviso, infatti, il problema dell’industria europea è che con le attuali regole non riesce a essere competitiva a livello globale. “Dobbiamo fissare un’asticella più bassa per garantire a tutti di poter competere nel mercato interno” dell’Ue, sostiene l’esponente del Ppe, “ma dobbiamo anche fissare un’asticella più alta che consenta ai campioni europei di competere sui mercati globali”.