Alla fine i nodi vengono al pettine. In un brillante editoriale Anatole Kaletsky scrive che l’Italia è nelle condizioni di prendere la guida dell’Europa al posto della Germania, un pensiero, una constatazione che uno, due anni fa non sarebbe passata per la mente di nessuno. Eppure la catena di errori politici ed economici commessa dalla Germania di Angela Mekel negli ultimi cinque-sei anni ha messo in discussione un tabù che sembrava inattaccabile: la Germania guida, l’Italia arranca e subisce.
Ora, che l’Italia possa letteralmente guidare l’Europa è forse una forzatura, una provocazione. Sembra a prima vista un po’ la rivolta degli straccioni, un colpo di coda dei perdenti, un tentativo di diversivo. Però non è detto affatto che sia così. Come ricorda anche Kaletsky le scelte imposte dalla Germania per rispondere alla crisi economica, supinamente accolte dal duo Josè Manuel Barroso e Olli Rehn alla Commissione europea e orgogliosamente seguite dai “nordici” d’Europa si sono rivelate, come da tante parti si disse fin da subito, un disastro. E’ vero che i conti pubblici di molti Stati si sono riabilitati, ma è vero anche che a sette-otto anni dall’esplosione della crisi economica la ripresa è ancora eccezionalmente debole, i disoccupati sono praticamente il ventinovesimo Stato dell’Unione, i giovani sono disperati e si rincorrono provvedimenti e aiuti per dare una mano alle aziende perché si riprendano.
Il presunto granitico sistema creditizio tedesco esiste ancora solo perché i cittadini hanno versato fiumi di miliardi per salvarlo. L’economia germanica è ovviamente molto, ma molto forte e solida, anche se sul fronte delle infrastrutture sono necessari investimenti corposi e una rinfrescata complessiva è necessaria. C’è un surplus commerciale e una scarsa propensione (e stimolo) al consumo che di fatto porta a violare il Patto di Stabilità. Cosa, ammettiamolo, non tanto grave di per sé, ma grave dal punto di vista dell’immagine di un Paese che pensa a prendersi tutto il possibile senza pensare ai danni che crea ai partner.
Nell’ultimo Eurogruppo/Ecofin informale che si è tenuto una settimana fa in Olanda la Germania è rimasta sola con i Paesi Bassi e la Finlandia a difendere le sue misure di austerità. Nessun governo ci crede più. Anche la questione del limite ai debiti sovrani che possono essere detenuti dalla banche vede il terzetto sempre più isolato, mentre avanza, da più fronti, la richiesta di eurobond, altra bestia nera tedesca.
Cambiamo fronte, passiamo all’immigrazione. Merkel, anche perché ne ha bisogno il sistema produttivo, ha comunque fatto una lodevole scelta quando ha promesso l’accoglienza di un milione di migranti, salvo poi dover fare dei passi indietro. Però la sua posizione non è stata seguita. In quasi tutti gli altri Paesi (Portogallo escluso, ma lì i migranti o ce li porti su richiesta o da soli non ci arriverebbero mai…) la gara è a tenerli fuori. L’accordo con la Turchia funziona a singhiozzo, la redistribuzione non funziona quasi per niente.
Si potrebbe dire, per lo meno, che la “spinta propulsiva” di Berlino è venuta meno. E che si è creato un vuoto. A Parigi Hollande ancora fa qualche tentativo per avere un ruolo in Europa, ma è talmente preso dalle questioni interne, da un partito che lo ha quasi abbandonato, da un Front National che continua a crescere minaccioso, che, se anche ne avesse le capacità, certo non ha la concentrazione necessaria per occupare uno spazio in quel vuoto. A Londra David Cameron ha anche lui altre gatte da pelare, si è invischiato in un referendum che potrebbe perdere e dunque trovarsi fuori del tutto dall’Ue, ma comunque la posizione scelta negli anni e il Patto che ha sottoscritto con Bruxelles nel caso vinca il referendum lo pone in una posizione dalla quale non potrà certo guidare i giochi europei.
L’Italia invece si sta dando da fare. Su questo giornale in passato abbiamo criticato Renzi perché non sembrava volesse assumere un ruolo di guida dei socialisti europei, perché sembrava, anche lui, concentrato sulle sue cose interne. Invece col tempo, e con il crearsi di condizioni favorevoli non si sa quanto previste dal segretario del Pd, la sua posizione è diventata centrale in Europa, questo è indiscutibile. Ha avanzato proposte (scritte) ai partner sull’assetto istituzionale, sull’Unione economica, sull’immigrazione. Ha disegnato, sta disegnando, un’idea di Europa, cosa che gli altri non stanno facendo. Sta risanando i conti del suo Paese, sta facendo delle riforme. Insomma, rispetto all’immobilismo e alla confusione degli anni passati qualcosa sta succedendo in Italia (poi a molti italiani non piace quel che accade, è giusto che sia così, ma qui a Bruxelles le valutazioni sono diverse, il pragmatismo è la prima religione).
La lotta del governo italiano, prima silente, poi confusa, poi aggressiva, contro le politiche di austerità sta trovando sempre più consensi, e, sempre giudicando dall’esterno, l’Italia sta conquistando una sua credibilità, che le consente di essere anche ascoltata da altri governi.
Però non sappiamo se è questo che Renzi vuole, fare dell’Italia il leader dell’Europa, sarebbe forse un’ambizione ancora prematura. Quel che in realtà sta succedendo è che la leadership di Merkel è in evidente declino e servono nuove idee e nuove scelte. L’Italia, in questo percorso, è di certo tornata a giocare una partita influente. Anche se non solo per merito suo.