Roma – Sminato il terreno dalla prima minaccia, il voto referendario sulle trivelle, il governo appare rafforzato. Ma quella sulle piattaforme di gas e petrolio era la più facile delle prove che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha davanti a sé nei prossimi mesi. Dalle mozioni di sfiducia di oggi in Senato, passando per le amministrative di giugno fino al referendum costituzionale di ottobre, ecco il contesto nel quale il premier si gioca la carriera. Uno scenario in cui anche il ruolo dell’Ue non è quello di un semplice spettatore.
Le urne semivuote di domenica – ha votato poco meno di un terzo degli aventi diritto –, visto l’esplicito invito all’astensionismo da parte dell’inquilino di Palazzo Chigi, sembrano aver rafforzato l’esecutivo. Eppure, la partita interna al Pd è tutt’altro che risolta. I malumori nella minoranza Dem, che invece ha compiuto il proprio dovere elettorale, rimangono inalterati, tanto che Miguel Gotor, uno dei senatori Pd più critici nei confronti del segretario-premier, ammonisce: “Non ci si rafforza sulle astensioni e sul non voto, ma quando ci sono consensi consapevoli e fondati sulla partecipazione, non sulla passivizzazione dei cittadini”.
La minoranza del del Partito democratico rimane dunque sul piede di guerra, e già oggi ci sarà un nuovo banco di prova per Renzi. In Senato si voteranno in serata le mozioni di sfiducia al governo, presentate dalle opposizioni dopo lo scandalo dell’inchiesta sul petrolio lucano. Un ‘incidente’ che ha portato alle dimissioni di Federica Guidi dalla guida dello Sviluppo economico. L’esecutivo non rischia concretamente. Lo stesso Gotor ha confermato che Dem dissidenti non hanno alcuna intenzione di appoggiare la richiesta di sfiducia delle opposizioni.
Il problema è piuttosto chi, insieme con la maggioranza, boccerà le mozioni di sfiducia. Sembra certo, infatti, che ancora una volta i senatori di Ala sosterranno l’esecutivo. “Vorrebbe dire che c’è un apporto sempre più continuato” dei verdiniani “a sostegno di questa maggioranza di governo, e quindi si configura un cambiamento degli equilibri”, sottolinea ancora Gotor.
Un fatto che incrinerebbe ulteriormente i già tesi rapporti in casa democratica. Tanto che il senatore della sinistra Dem, in modo sibillino, sottolinea che “un Partito democratico unito è certamente più forte e dovrebbe essere interesse pure del governo, anche perché siamo alla vigilia di importanti elezioni amministrative”.
Una minaccia di scissione? Non proprio, perché in fin dei conti il sostegno di Denis Verdini è stato già digerito più di una volta, e non è detto che non possa esser mandato giù ancora. “Bisognerà vedere se questo appoggio sarà decisivo o no”, precisa Gotor, perché “un conto è se i voti di Ala sono aggiuntivi” a quelli della maggioranza, “un conto è se sono sostituivi” di eventuali defezioni. Dunque, anche stasera la mina sarà con ogni probabilità disinnescata.
Ma saranno le amministrative del 5 giugno il test davvero importante per Renzi prima della battaglia decisiva sul referendum costituzionale. Si vota nelle principali città italiane e la situazione al momento non è delle più rosee. Nella Capitale, la candidata M5s, Virginia Raggi, è data come favorita dai sondaggi. A Napoli, dopo la poco edificante vicenda dei brogli alle primarie, che hanno visto la vittoria di misura della candidata renziana Valeria Valente sull’ex sindaco Antonio Bassolino, conquistare Palazzo San Giacomo appare una ‘mission impossible’. Anche a Milano, dove il premier ha fortemente voluto la candidatura di Giuseppe Sala, l’uomo dell’Expo, la vittoria che sembrava in tasca non appare più così certa.
Tutto si deciderà nelle prossime settimane di campagna elettorale. Una campagna in cui l’Unione europea avrà un peso rilevante. Da un lato, è di vitale importanza per il premier riuscire a dare un’accelerazione alla gestione comune dei flussi migratori. È anche per questo che l’esecutivo ha presentato ai partner dell’Ue il cosiddetto ‘migration compact’. Renzi sa che l’assenza di progressi sulle politiche migratorie comuni sarebbe un’arma importante per le opposizioni, a cominciare dalla Lega Nord di Matteo Salvini.
Poi c’è la partita economica. Qui la posta in gioco è anche più alta. Il via libera di Bruxelles alla Legge di stabilità 2016 – sospeso fino a maggio – è infatti indispensabile per tenere in piedi tutte quelle misure su cui il presidente del Consiglio conta per alimentare il proprio consenso elettorale: dall’abolizione delle imposte sulla prima casa all’estensione del bonus da 80 euro alle forze di polizia, passando per il contributo una tantum di 500 euro ai neo diciottenni.
Una bocciatura anche parziale della manovra, tanto più nell’imminenza del voto, creerebbe non pochi problemi al premier. Una promozione, al contrario, gli darebbe una mano notevole e dimostrerebbe che rimane lui il cavallo sul quale l’Ue continua a puntare per avere un governo stabile a Roma. A quel punto, il referendum costituzionale di ottobre servirà solo a capire se Bruxelles avrà vinto la scommessa.