di Agenor
Non è un segreto che il prossimo passo auspicato nel processo di integrazione europea sia arrivare a una strategia realmente comune di sicurezza e difesa, una “Unione per la sicurezza e la difesa” con poteri autonomi sia dal punto di vista finanziario sia militare. I leader in tutto il continente lo hanno chiaramente indicato come priorità assoluta per i prossimi anni. A favore di una simile scelta sono spesso invocate ragioni accettabili. Tuttavia, ci sono importanti argomenti che suggeriscono che quella che comunemente è considerata una evoluzione positiva significherebbe invece il colpo di grazia per questo relativamente lungo periodo di pace e integrazione in Europa. Una difesa comune con un esercito comune, ma in assenza di una vera nazione, potrebbe condurre alla prossima guerra civile in Europa.
Già nel giugno del 2015 il Centro europeo di strategia politica (EPSC) – gruppo interno di consulenti in materia strategica del presidente Juncker – ha reso pubblica una nota nella quale una «minaccia di guerra in Europa», sia di origine esterna sia interna, viene esplicitamente menzionata come impulso a muoversi in questa direzione. In particolare, la nota ha suggerito anche che il deteriorarsi della situazione economica dovrebbe spingere i paesi dell’Unione europea verso l’integrazione militare:
Considerazioni militari, economiche e strategiche portano tutte a una conclusione inevitabile: se abbiamo bisogno di fare di più con meno denaro, aumentare gradualmente l’integrazione sulla difesa è la nostra migliore – e sola – opzione… Un esercito europeo come progetto a lungo termine della volontà degli Stati membri ha acceso un dibattito necessario. La vera domanda ora è dove e come iniziare.
In altre parole, non ci sono alternative.
Più Europa nella difesa e nella sicurezza è assolutamente necessaria… È giunto il tempo di stabilire un quartier generale operativo a Bruxelles per garantire un’efficace pianificazione, comando e controllo delle operazioni, in particolare per quando è richiesta una risposta civile/militare congiunta.
Il Clingendael Institute, un think-tank olandese che fornisce consulenza su questioni di politica internazionale a governo, parlamento, forze armate e settore privato, si è inserito nel dibattito con un paio di documenti sullo stesso argomento. Con un tempismo perfetto, esattamente all’inizio della presidenza olandese del semestre europeo, a gennaio 2016, l’istituto ha suggerito di «tirar fuori la difesa dal suo stato di utilizzo “eccezionale” e a compartimenti stagni», per «affrontare rapidamente gli ostacoli istituzionali, legali e finanziari che bloccano l’approccio integrato» e «riportare la difesa a casa per l’opinione pubblica nazionale, aiutando i cittadini a riprendere ad apprezzare il ruolo della difesa nel provvedere alla loro sicurezza». La strategia comune di sicurezza e difesa dovrebbe «essere incentrata su strumenti civili e militari» e «l’UE dovrebbe andare oltre il soft power. Senza hard power, l’UE non sarà mai in grado di agire come un fornitore di sicurezza credibile».
Infine, a febbraio 2016, l’Istituto dell’UE per gli studi sulla sicurezza (European Union Institute for Security Studies) ha scritto che
per garantire la sua sicurezza, l’Europa ha bisogno di capacità militari forti e moderne… La crisi economica e fiscale in corso in Europa ha chiaramente avuto un impatto negativo sulle risorse da impegnare nelle attività legate alla sicurezza disponibili agli Stati membri dell’UE… In un futuro non troppo lontano, nessun singolo Stato europeo avrà le risorse necessarie a sviluppare da solo una gamma completa di funzionalità – così, ora è giunto il momento di incominciare a mettere insieme le risorse.
In un periodo di accesa discussione sul futuro dell’UE, con l’aumento delle pressioni centrifughe in diversi paesi (dal Grexit al Brexit, fino al crescente euro-scetticismo in molti Stati membri), una simile spinta senza precedenti verso forme estreme di maggiore integrazione suona perlomeno strana. Una simile accelerazione contro il sentire comune espresso dalla popolazione in tutta Europa dovrebbe far suonare un campanello d’allarme.
Il ragionamento ripetuto in tutti questi documenti, ma anche in molti di seconda e terza mano propagandati sui media locali, è chiaro: l’instabilità geopolitica pone crescenti minacce, sia di origine interna sia esterna, alla sicurezza dei cittadini, che finalmente sono diventati più sensibili su questi temi; inoltre, la prolungata pressione sulle finanze pubbliche significa che gli Stati hanno meno risorse a disposizione per investimenti militari, quindi unire le scarse risorse in una strategia comune di sicurezza e difesa dotata di poteri militari forti è l’unica soluzione possibile. Non c’è alternativa.
I pilastri di questa “unione per la sicurezza e la difesa comune” dovrebbero essere un esercito comune, il comune controllo delle frontiere e un’unica politica estera: il sogno di ogni federalista! Difficile trovarsi in disaccordo con un simile sogno, a prima vista. Tuttavia, un’analisi più attenta suggerisce che questo potrebbe essere l’ennesimo progetto ambizioso costruito su fondamenta deboli, che in quanto tale porterebbe alla disintegrazione, anziché alla federazione.
Nel contesto di una simile architettura, chi coordinerebbe queste forze militari? Può un paese delegare il controllo militare delle sue frontiere a un organo sovranazionale non responsabile politicamente? Resterebbe un paese sovrano? Quando si dovesse decidere di mettere in atto questo controllo in circostanze specifiche, chi dovrebbe prendere la decisione? Se l’attuazione implica esternalità negative per un paese o un gruppo di paesi, come verranno gestite? Se dovessero entrare in conflitto interessi nazionali, chi dovrebbe decidere quale interesse far prevalere? Una burocrazia sovranazionale priva di responsabilità politica? O il governo (o governi) più forte? E questo sarebbe accettabile per gli altri? E se gli interessi in politica estera non collimano, quale paese alla fine prevarrebbe? E quanto tempo occorrerebbe per prendere decisioni critiche in politica estera? E i paesi “perdenti” come reagirebbero? Quanto è possibile tenere sotto controllo la frustrazione prolungata di un paese su materie riguardanti l’esercito e la difesa?
Questo caos dovrebbe suonarci familiare, come decenni di progetti ambiziosi e incompleti hanno dimostrato. Nessuno di loro ha portato l’UE più vicina all’unione politica. Lanciare il processo di unione monetaria, contro ogni razionalità economica, e, soprattutto, senza una precedente unione politica, ha portato all’instabilità economica. Il trattato di Schengen, senza unione politica, sta a sua volta portando all’instabilità sociale, come i fatti recenti mostrano.
Una “unione per la difesa e la sicurezza” che nasce imperfetta e fallace porterà, inevitabilmente, all’instabilità militare. Ma, a confronto dei precedenti, questo è un azzardo molto più rischioso: perché l’instabilità militare, alla fine, significa guerra.
Pubblicato su Asimmetrie il 29 marzo 2016. Traduzione di @Rododak e Federico Nero.