di Carlo Clericetti
La conclusione del mandato di Antonio Fazio come governatore della Banca d’Italia non fu certo trionfale. Fu forse la troppa fiducia in se stesso a spingerlo a cercare di plasmare il sistema bancario italiano secondo un suo personale disegno, anche ricorrendo a metodi poco ortodossi. Pur avendo criticato fra i primi questo modo di agire, sono sempre stato convinto che lo guidasse la convinzione di fare il meglio possibile per il paese. Nonostante quella infelice uscita di scena, comunque, nessuno ha mai messo in dubbio la sua caratura di economista e un livello di competenze con non molti paragoni in campo finanziario.
Fazio ha affidato all’Avvenire sia una testimonianza sul periodo dell’ingresso dell’Italia nell’euro, rivelando alcuni retroscena finora sconosciuti, sia le sue riflessioni sull’attuale situazione europea. Il quotidiano ha pubblicato questo materiale in due lunghi articoli di cui è caldamente consigliata la lettura (qui il primo e qui il secondo). L’ex governatore ricorda come considerasse prematura la nostra adesione alla moneta unica (e questo era già noto), rivela che la decisione di rientrare nello SME nel 1996 fu presa a sua insaputa, fa capire di aver pensato alle dimissioni e di aver poi scelto di restare e di assecondare – come civil servant – quello che i responsabili politici avevano deciso. Altri tempi, quando un tecnico con un ruolo di responsabilità al massimo livello si inchinava – pur non essendo convinto della scelta –a quando avevano deciso i rappresentanti democraticamente eletti, invece di usare i poteri a sua disposizione per costringere i politici a seguire strade diverse. Un atteggiamento di lealtà che lo spinse, nella riunione che doveva decidere quali paesi potessero entrare subito nell’euro, a minacciare – per vincere le resistenze di alcuni paesi – di far saltare lo SME e impedire quindi la nascita della moneta unica.
«Sentite, noi entriamo, ma il problema è come restare nell’euro», spiegherà poco dopo in un’audizione parlamentare. «Quando si perde la manovra del cambio, si dovrebbe riacquistare una flessibilità del costo del lavoro e della finanza pubblica che ci permetta di rimanere competitivi… Non avremo più i terremoti monetari, ma avremo una sorta di bradisismo. Sapete cos’è? È il terreno che si abbassa sotto il livello del mare gradualmente, come a Pozzuoli. Ogni anno perderemo qualcosa in termini di crescita rispetto agli altri paesi». E Fazio, nell’articolo, ricorda i numeri di questo “bradisismo” che dura ancora, dal PIL alla produzione industriale al costo del lavoro per unità di prodotto, al commercio con l’estero.
Poi il giudizio sulla situazione attuale. «La Germania ha un surplus dovuto al fatto di avere un’industria particolarmente efficiente. Ma gode, grazie all’euro, di un cambio favorevole in quanto altri paesi, tra i quali Italia, Spagna, Grecia, anche la Francia, di fatto ne abbassano il valore. Un paese che ha un surplus della bilancia dei pagamenti dovrebbe reinvestirlo in spesa reale o prestarlo ad altri paesi che hanno un deficit, altrimenti crea deflazione nel sistema di cui è parte. Il piano che aveva ideato Juncker, di investimenti per 315 miliardi, era la soluzione giusta. L’area dell’euro ha un surplus, nei confronti del mondo esterno, del 3% del suo PIL. Cosa fa? Ha disoccupazione, ha deflazione, può e deve spingere invece gli investimenti. L’ex ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, che è stato tanto criticato, aveva capito le cose meglio degli altri».
Infine un affondo contro la politica Berlino-dipendente imposta all’Europa. «Non bisogna ragionare, come talora si fa in Europa, come se i soldi fossero già in cassa, questo è un ragionare da contabili, non tenendo conto delle più elementari nozioni di macroeconomia. L’area dell’euro soffre di problemi gravi di disoccupazione. La domanda globale è insufficiente. I riflessi sociali sono evidenti, seguiranno purtroppo riflessi anche politici. Il surplus di bilancia dei pagamenti di alcuni paesi dovrebbe essere impiegato in investimenti reali, non finanziari, in patria o in altri paesi dell’area. Una politica del genere aiuterebbe anche l’economia mondiale. Un’ultima considerazione. Nel 2007 il rapporto tra debito pubblico e PIL era nel nostro paese pari a 103, è arrivato a ben oltre il 130 a seguito delle politiche di aumento dell’imposizione fiscale suggerite dalla Commissione. O è sbagliata la diagnosi o è sbagliata la medicina. Ma se è sbagliata la diagnosi, la cura è sicuramente controproducente».
Abbiamo riprodotto i brani relativi ai problemi più attuali di questo economista non certo sospettabile di “sinistrismo”. Ma ripetiamo l’invito a leggere i due articoli per intero. Il primo ha un respiro più storico, e ripercorre in particolare la vicenda dell’iperinflazione tedesca. Anche se il legame tra stampa di moneta e aumento dei prezzi, come stiamo vedendo proprio in questi anni, non è così meccanico come alcune teorie avrebbero preteso, la rievocazione di Fazio dovrebbe essere materia di riflessione per gli attuali sostenitori della MMT (modern monetary theory), che propongono molte cose condivisibili, ma non convincono quando affermano che la monetizzazione può risolvere tutti i problemi.
Ma certo i problemi non li risolverà nemmeno l’attuale politica, come anche Fazio afferma chiaramente. Da notare che parla del “piano Juncker” al passato, come di una cosa iscritta nel famoso “libro dei sogni”. L’Europa germanizzata è un fallimento così evidente che non si capisce come ci possa ancora essere chi chiede “più Europa” senza premettere che bisognerebbe prima stracciare il Trattato di Maastricht e quelli successivi. Ma forse saranno il problema dei migranti e il terrorismo a far precipitare la crisi.
Pubblicato su Repubblica il 24 marzo 2016.