Bruxelles – Il geoblocking è diffuso in tutta l’Unione, ma ogni caso deve essere valutato singolarmente per comprendere se sia in violazione del diritto della concorrenza Ue. Sono le prime conclusioni diffuse dalla Commissione europea a seguito di un’indagine antitrust sul commercio elettronico avviata nel maggio 2015 e tuttora in corso.
L’esecutivo ha racconto le risposte inviate da oltre 1400 dettaglianti e fornitori di contenuti digitali di tutti i 28 Stati membri, le quali “dimostrano che nell’Ue le pratiche di geoblocking sono comuni e diffuse, sia per i beni di consumo che per i contenuti digitali”. Il 38% dei dettaglianti che vendono beni di consumo e il 68% dei fornitori di contenuti digitali hanno risposto affermando di praticare il geoblocking nei confronti dei consumatori che si trovano in altri Stati membri dell’Ue.
“In alcuni casi il geoblocking risulta associato ad accordi tra fornitori e distributori. Gli accordi di questo tipo possono limitare la concorrenza nel mercato unico e quindi violare le norme antitrust dell’Ue. Ogni caso, tuttavia, deve essere valutato singolarmente”, scrive la Commissione.
“Diversamente – continua la nota – se il geoblocking viene adottato sulla base di una decisione commerciale unilaterale dell’impresa, che ha scelto di non vendere all’estero, e se l’impresa in questione non occupa una posizione dominante, è ovvio che la pratica esula dall’ambito di applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione europea”.
Qui e qui maggiori informazioni sui risultati dell’indagine antitrust.