Bruxelles – Brexit o non Brexit? Stay in or stay out? Ponetela pure come volete, ma la domanda – e la questione annessa – verrà comunque formulata e riformulata senza sosta da qui al 23 giugno, quando gli elettori britannici dovranno decidere cosa votare al referendum indetto per chiedere se restare o meno nell’Ue. La domanda interessa praticamente tutti, in Europa come ovviamente nel Regno Unito. Qui la questione domina il dibattito politico, e non solo. A porsi degli interrogativi sono adesso non solo i cittadini-elettori, ma anche i cittadini-tifosi. In un Paese dove il calcio è tradizione insieme al tè e al pudding, c’è chi inizia a fare i conti di cosa potrebbe voler dire uscire dall’Unione europea a livello calcistico. Secondo i conti che fa il The Independent non ci sono dubbi: dire ‘no’ all’appartenenza all’Ue avrebbe un contraccolpo non da poco per il calcio d’oltre Manica. Con una Premier League ricca di talenti stranieri e un Regno Unito non più nell’Ue, la massima serie del campionato di calcio inglese si svuoterebbe, perdendo in fascino e, soprattutto, in soldi.
Cifre definitive non se ne hanno, ma le stime non sono comunque da sottovalutare. La baronessa Karren Rita Brady, vicepresidente del West Ham, una delle squadre londinesi di massima categoria, ha avvertito che in caso di Brexit “due terzi delle stelle europee in Inghilterra automaticamente si troverebbero a non soddisfare più i criteri per la concessione dei visti, e quindi sarebbero costretti ad andarsene”. La Federazione calcistica d’Inghileterra (Fa) riconosce che con un eventuale cambio di contesto giuridico potrebbe essere ridotto di un terzo anche il numero di calciatori extra-comunitari. Senza contare le ricadute a livello societario. A oggi sono in molti ad aver investito nella squadre inglesi (il Chelsea è di proprietà del magnate russo Roman Abramovich, il Machester City di proprietà dello sceicco saudita Mansur bin Zayed, Liverpool e Manchester United sono in mano a statunitensi, il Leicester ha un proprietario thailandese, l’Arsenal è controllato da una cordata di imprenditori russo, iraniano e statunitense).
Un’uscita dall’Ue vorrebbe dire impoverimento di talenti calcistici, meno appetito per sponsor ed entrate in diritti televisivi, con conseguente possibile disimpegno degli investitori stranieri. Insomma, è proprio il caso di dire che con un abbandono dell’Ue il Regno Unito rischia un clamoroso autogol. Deve averlo capito, prima ancora del The Independent, Richard Scudamore, presidente esecutivo della Premier League. “Da una prospettiva di business ritengo che noi in Regno Unito dobbiamo restare in Europa”, aveva detto a ottobre. Un ragionamento di un britannico che tutela gli interesse britannici. E di fronte al calcio e alla propria squadra del cuore, c’è da credere che qualche euroscettico cambierà idea.