Bruxelles – Restaurare la libera circolazione europea il prima possibile e comunque non oltre “novembre 2016”. È quanto tornerà a chiedere la Commissione europea, che venerdì dovrebbe presentare una nuova comunicazione per chiedere agli Stati membri di impegnarsi per salvare dal collasso quella che viene considerata come la massima conquista dell’integrazione europea. Secondo quanto anticipato dal Guardian, la bozza di documento sottolinea che la reintroduzione dei controlli alle frontiere “mette in discussione il corretto funzionamento dell’area Schengen” e chiarisce che “ora è tempo che gli Stati membri uniscano le forze nell’interesse comune”.
Un messaggio chiaro a quei sette Stati membri che hanno già reintrodotto i controlli alle frontiere: i primi sono stati dallo scorso settembre, Austria e Germania a cui si sono poi aggiunti Francia, Danimarca, Norvegia, Svezia e negli ultimi giorni anche il Belgio che ha deciso di chiudere il confine con la Francia per paura degli effetti dello smantellamento del campo profughi di Calais. La Commissione vuole che gli Stati membri li riaprano “il più rapidamente possibile” e “con una chiara data limite a novembre 2016”.
Ma l’accento rimane anche sull’importanza di rafforzare i controlli alle frontiere esterne. A metà maggio scadranno i tre mesi concessi alla Grecia per tentare di rimediare alle “gravi carenze” constatate nella gestione delle frontiere e se per allora Atene non saprà dimostrare di avere la situazione sotto controllo allora la Commissione potrà fare scattare l’articolo 26 del Codice frontiere Schengen e consentire agli Stati membri di prolungare la sospensione di Schengen fino a un massimo di due anni.
Nella sua comunicazione, la Commissione tenta di fare appello anche al versante economico della faccenda. La reintroduzione dei controlli ai confini, calcola l’esecutivo comunitario, porterebbe alla perdita di 18 miliardi di euro all’anno e cioè circa lo 0,13% della produzione annua dell’area Schengen. Ma il conto potrebbe essere più salato, considerando che le imprese e l’industria del turismo potrebbero perdere miliardi. I turisti asiatici ad esempio, secondo la valutazione della Commissione, limiterebbero i loro itinerari alle “destinazioni Ue più popolari”.