Ancora piuttosto irritata per il voto di ieri al Parlamento europeo sullo stravolgimento delle regole sui limiti delle emissioni per i nuovi veicoli diesel, al cui esito negativo per i nostri polmoni e per i produttori innovativi non è stata estranea la lobby sui deputati di molti governi, tra i quali il nostro, nella persona del Sottosegretario Sandro Gozi, mi sono imbattuta nell’interessante articolo sulla strategia europea del Governo, a firma dello stesso Sottosegretario, pubblicato sul suo giornale con il titolo “Il tempo dei figli fondatori”.
Mi è sembrato in gran parte condivisibile, perfino per me, di solito estremamente critica sulle scelte infrastrutturali, ambientali, energetiche e in parte anche economiche di questo governo, che su tali temi trovo spesso in sorprendente continuità con le politiche del vecchio governo Berlusconi.
Penso però che se veramente è quella descritta la strategia perseguita, allora è assolutamente necessario che quei dibattiti e contenuti di cui si parla escano dalle vellutate stanze della diplomazia dei governi ed entrino nel dibattito pubblico, trovino alleati e spazi di confronto.
Sandro Gozi, e conoscendolo non dubito che questo sia il suo intento, dice che la vera discontinuità della politica europea del suo governo sta nel non vedere questa politica come “altro” rispetto a noi. Cita una serie di iniziative, dalla riforma della zona euro, allo spazio Schengen, alle quali aggiungerei anche quella molto meritoria della presidente della Camera; Laura Boldrini sta cercando di riunire il massimo numero di Parlamenti nazionali intorno a una dichiarazione, che mette al centro il nesso indissolubile fra il disperato bisogno di politiche positive e convincenti sul fronte economico e dei diritti con quello dell’urgenza di un rilancio dell’integrazione europea, intesa come sovranità condivisa. Il problema però è che sono pochissimi ad esserne al corrente e forse si cerca troppo poco una vera partecipazione pubblica e sui media intorno a queste proposte e a queste scelte.
Quello che si vede è invece il tentativo della prova di forza, le “frasi maschie e virili”(?), l’arrabbiatura border-line sulle banche di casa, o sui futuri doveri derivati dal Fiscal Compact, la pretesa di cambiare regole che, nonostante tanti di noi si siano sgolati in tempo utile, sono state tranquillamente avallate senza dire “bao”, ne’ da parte del governo ne’ da parte del Parlamento. Anche sul tema caldissimo delle migrazioni, la decisione di non abolire il reato di clandestinità, di non agire con forza e determinazione (nonostante Alfano e Salvini) sulle falle del nostro sistema di accoglienza e asilo, la sfuriata per l’infrazione sull’identificazione di chi sbarca da noi e il contemporaneo silenzio sul vergognoso attacco di Juncker e della Germania alla Grecia, con la minaccia di tenerla fuori da Schengen dopo averla strozzata con politiche capestro, mi sembrano occasioni perse per andare in modo visibile e rumoroso nella giusta direzione che Gozi indica.
Credo ci sia una vera urgenza di rendere molto più aperto e pubblico questo sforzo, di trovare alleanze non solo fra i governi, ma anche tra le forze politiche e sociali che non hanno nessunissima intenzione di buttare a mare il sogno europeo o di abbandonarlo alle grinfie di Schauble, ma che sono anche un po’ perplesse di fronte ad uno scontro che pare più finalizzato sulla conquista di consenso interno e di qualche sconto sui conti che espressione di una vera strategia europea.
In ogni caso, c’è un’occasione d’oro per dimostrare che si fa sul serio: il Consiglio europeo del 18 febbraio prossimo: le proposte del Presidente del Consiglio Europeo Tusk per convincere Cameron a fare campagna per il SI al referedum sulla BREXIT vanno nella direzione diametralmente opposta a quella descritta dal Sottosegretario Gozi. Nell’illusione di trattenere i recalcitranti sudditi di Sua Maestà, si danno interpretazioni fantasiose di regole e Trattati per complicare al massimo diritti acquisiti da decenni dai cittadini europei, per dare ai Parlamenti nazionali il diritto di bloccare automaticamente il processo decisionale europeo, per conferire alla City di Londra un trattamento di riguardo sulle regole finanziarie che per anni è comunque riuscita a bloccare, e, dulcis in fundo, si dice che i padri fondatori scherzavano quando scrivevano sul Trattato di Roma che obiettivo della Comunità europea è realizzare “un’Unione sempre più stretta fra suoi popoli”: in realtà non volevano perseguire l’obiettivo dell’integrazione politica come tutti abbiamo pensato in questi decenni, ma semplicemente “promuovere la fiducia e la comprensione reciproca”, come in un simpatico scambio fra boy-scouts. Non è ancora chiaro quale sarà la posizione del governo italiano su questo documento. Finora si sono solo sentite voci, in particolare provenienti da est, che reclamano gli stessi diritti degli inglesi a tagliare benefits e a chiamarsi fuori da obblighi e regole.
Vedremo in quella occasione se i figli che oggi ne richiamano l’eredità, saranno degni dei padri (e madri) che tanto fecero per tirarci fuori dalle macerie di un’Europa che oggi sembra averne dimenticato l’insegnamento. Noi siamo disposti a dare una mano.