La vicenda delle statue dei musei capitolini coperte per occultare i nudi alla vista del Presidente iraniano Rouhani potrebbe sembrare a prima vista solo un patetico esempio del devastante fenomeno di negazione culturale che si chiama il politicamente corretto. Si rinuncia a ostentare un simbolo di identità culturale e di appartenenza anche a scapito di valori e principi che per noi sono fondanti, perché questo potrebbe risultare offensivo per un’altra parte. Abbiamo già assistito ad autolesionismi culturali di questo genere qualche mese fa con crocifissi e presepi. Ma nel caso specifico nessuno da parte iraniana aveva chiesto di coprire i nudi capitolini.
I funzionari dello Stato che hanno deciso l’occultamento delle statue hanno agito di loro spontanea volontà e il loro gesto non è neutro. Assume una grandissima eloquenza culturale. Coprendo la Venere capitolina, il satiro in riposo, Cupido, Psiche e l’Apollo citaredo i censori del Campidoglio ne hanno sancito l’indecenza, esprimendo così sulle statue un giudizio che non è solo il loro personale ma purtroppo quello di quella parte della società italiana di cui inesorabilmente sono un campione. I castigatori capitolini non sentono le statue del Campidoglio come cosa loro, patrimonio che nutra l’identità dello Stato che rappresentano. Le sentono a tal punto avulse da loro che sono pronti a sacrificarle anche senza che venga loro richiesto. Le reputano già offensive in partenza, qualcosa che comunque non è bene vedere. Non sentono provenire da quelle statue un’appartenenza, la storia che ci lega a loro e di cui è impregnato ogni sasso della città di Roma in cui pure vivono e lavorano.
C’è dunque una parte della nostra società che non conosce più la nostra storia, che non è più consapevole del percorso che ci ha portati ad essere quel che siamo, che sente estranee statue che un tempo erano figure familiari anche quando le si vedeva dal vivo una volta nella vita. Paradossalmente i censori capitolini credono invece di avere chiarissima in mente la sensibilità dell’ospite iraniano, la sua nozione del bello e del bene. Ma anche questa è un’invenzione dell’immaginario collettivo sull’islam nutrito dalle sparate di certa stampa e televisione e da una visione fumettistica dell’attualità internazionale. Così in fin dei conti l’ignoranza è totale. Non si conosce più la propria cultura senza neppure averne conosciuta un’altra e tutto diventa insipienza, castrata neutralità, paura di essere, paura di distinguersi dal gruppo. Quel grande gruppo ormai planetario del tutto uguale e tutto conforme dove l’uguaglianza ha ucciso la libertà di essere noi stessi e la più grande ambizione dell’individuo è non offendere nessuno.