L’Accordo di Schengen sulla libera circolazione delle persone è certamente uno dei pilastri dell’Unione europea. C’è chi è contrario alla sua esistenza, a nostro giudizio ha torto e soprattutto non lo ha capito, ma va bene, si può essere contro qualsiasi cosa, ma questo non cambia il fatto che senza Schengen l’Ue sarebbe una cosa diversa, secondo noi sicuramente peggiore.
In queste settimane abbiamo tutti letto, e alcuni di noi scritto, che questa conquista è messa a rischio, che potremmo perderla, che l’Accordo potrebbe non sopravvivere alle tensioni che vive. Ma perché lo si dice? Cominciamo a pensare che lo si faccia per un motivo diverso dalla salvaguardia della libera circolazione in sé, ma per fare pressione su un altro tema, che ovviamente gli è strettamente legato: la gestione dell’immigrazione.
Attualmente, è vero, vengono introdotte molte limitazioni alle libertà previste dall’Accordo di Schengen, ma tutte sono realizzate all’interno del quadro normativo previsto dalle intese. Dalla Commissione europea non sono ancora partite procedure per violazioni verso nessun governo. L’Accordo stesso prevede la possibilità di limitarne gli effetti per settimane, mesi, e perfino anni (due). Tutto quel che sta avvenendo è dentro al quadro giuridico previsto. Dunque il problema non è tanto lì, ma nel “dopo”. La paura vera è questa: cosa accadrà tra due anni? Ora va bene, prendiamo dei provvedimenti d’urgenza per far fronte a situazioni che sono, perché lo sono, senza ipocrisie, eccezionali, ma che frutti produrranno queste decisioni? Che frutti produrranno nell’immediato in termini di spostamento delle pressioni migratorie su altri Stati, di condizioni di vita degli immigrati, e così via è un conto, importante, che va fatto. Ma tra due anni, quando le sospensioni dovranno terminare e non ci saranno più strumenti legali nell’Accordo per prolungare la chiusura delle frontiere, che cosa avrà davanti l’Unione? Avrà realizzato delle politiche migratorie efficienti? La pressione sarà diminuita? I governi si saranno accordati su piani di accoglienza e redistribuzione dei richiedenti asilo? Saranno stati fatto accordi con i paesi di provenienza e transito? Saranno state avviate politiche, in quei Paesi, che non costringano più le persone a fuggire? Se nulla sarà accaduto allora sì che Schengen potrebbe finire perché se la maniera di affrontare il problema è chiudere e il problema tra due anni sarà lo stesso, si deciderà ancora di chiudere, facendo così davvero finire la libera circolazione.
Lanciare l’allarme ora sul rischio di perdere una conquista preziosa è forse una utile indicazione per i cittadini, ma è, probabilmente, anche una messa in guardia per i governi a fare qualcosa per non trovarci, fra due anni, in una situazione che non si saprà più come gestire e che potrebbe portare frutti amari in campi molto più vasti che la sola libera circolazione. Tenendo presente che, ovviamente, nessuno può fare “da solo”, nessun Paese può riuscire a gestire un fenomeno di queste proporzioni senza la collaborazione degli altri. Anche perché, facilmente, si finirebbe in una competizione tra Stati che non potrebbe che portare danni a tutti.
La “notizia” che vorremmo sentire è che si sta lavorando per evitare questo, il che vuol dire che i governi e le forze politiche di opposizione non si occupano di ciò che avviene da qui alle prossime elezioni che li riguardano, ma che si stanno impegnando sulla soluzione del problema, e non della sua gestione in chiave emergenziale ed elettorale. E’ spesso, questa, un’ambizione sulla quale veniamo frustrati, ma non di meno è necessario spronare chi ci governa a “fare la cosa giusta”.