Roma – “È forte la sensazione che sia possibile un’intesa e sembreremmo finalmente giunti vicino a un accordo. Speriamo che le prossime ore ci consegnino questa nuova possibilità”. Intervistato da Affaritaliani, il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando, esprime così la fiducia dell’esecutivo nel buon esito della trattativa con la Commissione europea sull’istituzione di una ‘bad bank’ che convogli i crediti deteriorati delle banche italiane. Negoziato che avrà domani, nell’incontro fissato nel pomeriggio tra il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, una tappa fondamentale.
Morando legge con ottimismo anche l’allarme lanciato nel rapporto triennale sullo stato dell’economia, presentato stamane, in cui dai tecnici della Dg Ecofin sottolineano l’assenza di rischi a breve termine per le finanze italiane, ma si dicono preoccupati perché “la quota di non performing loans (le sofferenze, appunto, ndr) nel settore bancario potrebbe rappresentare una fonte importante di rischi di passività a breve termine”. Per il numero due di Via XX Settembre è segno che la stessa Commissione è a conoscenza della gravità del problema e dunque sappia con quale urgenza sia necessario intervenire.
Che si possa arrivare a un’intesa lo conferma lo staff di Vestager. Il portavoce Ricado Cardoso, infatti, ha definito “costruttivi” i contatti che stanno proseguendo anche in queste ore “con le autorità italiane”. Sebbene fonti europee, citate da diverse agenzie, informino della possibilità che la soluzione vera e propria possa essere differita di qualche giorno. Le stesse fonti confermano che l’Italia sta “cercando una soluzione che sia esente” dall’accusa di aiuti di Stato, e che il punto del contendere riguarda sostanzialmente “il prezzo delle garanzie pubbliche” sui crediti deteriorati.
Secondo le indiscrezioni emerse dal Tesoro, la proposta italiana prevede non una ma più ‘bad bank’ dove far confluire i ‘non performing loans’ dei singoli istituti. La fisionomia è quella degli Spv (Special purpose veichle), società create ad hoc per acquisire i crediti inesigibili e piazzarli sul mercato a fronte di una garanzia, in parte pubblica, e ovviamente a un prezzo inferiore al valore nominale dei crediti in questione.
Per fare un esempio, concreto, basti considerare quanto è accaduto con i 4 istituti (Banca Etruria, Banca Marche, Cari Ferrara e Cari Chieti) salvati dal governo con un decreto confluito in Legge di stabilità. Fatto 100 il valore nominale dei crediti sofferenti di quelle banche, il valore reale è stato fissato a quota 18.
Per il resto degli istituti l’ipotesi è un po’ più alta (tra 35 e 45 a fronte di un valore nominale di 100), ma le perdite sarebbero comunque ingenti e per questo il mercato dei titoli bancari rimane altamente instabile. Una volatilità che nei giorni scorsi ha spinto i banchieri a dire che sulla ‘bad bank’ va bene qualsiasi soluzione purché venga adottata in fretta.
L’entità del problema, per il sistema italiano, ammonta a circa 201 miliardi di euro. Il dato è stato calcolato a novembre 2015 dall’Abi e riguarda le sole ‘sofferenze’, la fattispecie di credito più difficile da esigere sulla base della classificazione indicata dalla Banca d’Italia, che prevede anche altre due categorie di crediti deteriorati: quelli ‘sconfinanti’, la cui esigibilità è considerata tutto sommato elevata, e quelli considerati ‘inadempienze probabili’ o “incagli”, perché sono esigibili solo a fronte di azioni di recupero che spesso comportano lungaggini amministrative e giudiziarie.
Considerando le tre fattispecie, il loro valore complessivo era di circa 361 miliardi di euro al giugno 2015, ma a destare le preoccupazioni maggiori sono appunto i 201 miliardi di sofferenze. Le banche hanno già accantonato nei loro bilanci riserve pari a circa il 59%, proprio in previsione che i crediti non rientreranno tutti. Resterebbero scoperti, dunque, poco più di 80 miliardi. Ponendo che, una volta confluiti nella bad bank, i crediti possano essere venduti a un valore del 20% rispetto a quello nominale, come fa il capo economista di Unicredit, Erik Nielsen, nella sua ipotesi “conservativa”, si recupererebbero grosso modo altri 40 miliardi.
Il resto, altri 40 miliardi, dovrebbe essere coperto dalla garanzia pubblica, che il Tesoro sta pensando di realizzare ricorrendo alla Cassa depositi e prestiti. Il punto da trattare con Bruxelles è il costo di questa garanzia. Non può essere troppo basso per non incorrere nella mannaia dell’aiuto di Stato, né troppo alto, altrimenti le banche incasserebbero troppo poco dalla vendita dei crediti deteriorati e sarebbero costrette a iscrivere ulteriori perdite a bilancio. I banchieri sperano in un prezzo della garanzia non più di alto di 20 o 30 punti base, da Bruxelles la richiesta è di stare sopra ai 100. Nell’incontro di domani tra Padoan e Vestager si potrebbe raggiungere un compromesso. Ormai è questione di poche ore sapere come andrà.