Il voto degli italiani all’estero è alle ultime battute (le schede devono arrivare ai Consolati entro il 21. Continuiamo la pubblicazione delle interviste con i candidati. Oggi sentiamo Luca Tagliaretti, che punta alla Camera dei Deputati nella lista Con Monti per l’Italia. L’aspirante deputato vive a Francoforte, lavora alla Bce e della legge elettorale dice: cambiarla non è la prima cosa da fare ma è certamente la seconda.
Come ha iniziato la sua attività politica e come si è avvicinato alla Lista Monti?
Ho iniziato ad occuparmi attivamente di politica solo recentemente, entrando nella lista di Monti: da un lato ho intravisto una possibilità, un cambiamento dovuto ad una maggiore attenzione ai “giovani” della politica, alla società civile e alle professionalità e dall’altra ho riconosciuto nell’Agenda Monti un programma allettante. Certo, la politica mi ha sempre interessato, ma avevo smesso di seguire le vicende italiane quando, durante gli anni dell’università, dal Politecnico di Milano mi sono trasferito per un progetto di scambio presso il Politecnico di Göteborg, in Svezia. Buttavo, però, sempre un occhio all’Italia e alle sue vicende e nel 2004, in seguito all’approvazione della legge sul voto degli italiani all’estero, quando iniziarono ad essere create le prime strutture volte a sensibilizzare le persone sulle modalità di voto per corrispondenza, entrai a far parte di una associazione non politica gestita dall’Udc a Francoforte. Organizzavamo incontri in parrocchie e consolati per spiegare alla gente come fare per esprimere la preferenza elettorale: durante le riunioni non c’erano candidati politici, il solo scopo era quello di sensibilizzare sull’importanza del voto all’estero che al tempo era gestito da associazioni e patronati locali in modo poco trasparente, che non mi è mai piaciuto.
Il voto per corrispondenza degli italiani all’estero funziona secondo lei?
Secondo me il modo in cui viene gestito il voto per corrispondenza è uno scandalo ed è ancor più scandaloso che il parlamento in sette anni non sia riuscito a cambiarlo. Già durante la tornata elettorale del 2006, quando per la prima volta anche gli italiani residenti all’estero e regolarmente iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) hanno potuto votare, ho avuto la sensazione che le modalità del voto per corrispondenza fossero troppo complicate per coloro che non sono abituati ad avere a che fare con la burocrazia italiana. In quell’occasione, come avviene oggi, tanti buttavano le buste, non le usavano, le davano via o le portavano ai patronati e alle associazioni di cui erano membri per farsi spiegare come dovevano fare. E ieri come oggi a meno che non si faccia richiesta di votare in Italia le schede elettorali vengono indiscriminatamente mandate a casa degli iscritti all’Aire senza alcun controllo sul fatto che queste vengano effettivamente votate come invece avviene con i seggi. Questa “passività del voto” unita alla confusione sul “come si vota” genera occasioni per brogli e furti di schede. Il voto deve essere cosciente e trasparente.
Quali sono le linee guida del suo programma elettorale?
L’attenzione alla persona è la linea che guida il mio programma. Ad esempio la questione delle trasmissioni Rai all’estero: l’emittente pubblica ha triplicato i diritti così molti canali prima trasmessi ora non si vedono più fuori dall’Italia. Si parla tanto dell’italianità e poi la Rai è l’unica tv che oscura le partite di calcio al di fuori del territorio nazionale. Altra questione importante è, poi, quella dello spostamento delle imprese italiane all’estero il cui fine non è “invadere” i mercati esteri per decentralizzare la produzione, ma per aumentare le vendite e la ricchezza complessiva del paese. La Germania ha costruito il Lufthansa Center per permettere l’incontro della realtà tedesca con quella cinese sotto lo stesso tetto: anche l’Italia dovrebbe fare una cosa simile che permetta alle imprese di fare sistema invece da noi ognuno fa per sé. In terzo luogo mi occuperei delle famiglie con figli che hanno problemi di inserimento a scuola e degli anziani con un’attenzione particolare alle realtà dell’associazionismo che devono essere aiutate e valorizzate. Mantenere un contatto diretto e una relazione con le persone è, per me, fondamentale.
Molti candidati, critici verso le istituzioni rappresentative degli italiani all’estero, hanno sollevato il problema della riforma dei Comites e della chiusura dei Consolati…
Riguardo ai Comites, che sono istituzioni intermedie, bisogna capire cosa serve e cosa no, quali sono i compiti fondamentali e come gestirli, come farli ripartire poiché sono strutture della pubblica amministrazione ferme da nove anni. Per i Consolati, invece, si devono migliorare i servizi che offrono, ad esempio digitalizzando le liste e cercando di snellire per via informatica le procedure dell’Aire. Secondo me non bisogna chiuderli, semmai modernizzarli e razionalizzarli.
Uno dei temi più freschi del dibattito d’attualità è quello della cosiddetta “fuga dei cervelli”. Come vede, lei, la possibilità di elargire incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia?
Secondo me il problema non è il rientro dei cervelli, perché alcuni che scelgono di vivere all’estero non pensano nemmeno di rientrare, ma capire perché se ne sono andati. Incentivi come quello della defiscalizzazione sono solo palliativi. Il problema deve essere studiato alla radice: salari bassi, scarsa meritocrazia nelle Università, la pessima formazione che non permette di sviluppare le proprie capacità sono alcuni dei motivi, sui quali bisognerebbe lavorare, che inducono i giovani ad andarsene. Se si creasse un clima competitivo con più possibilità la gente rimarrebbe. Ad esempio si potrebbe anche ridurre il cumulo fiscale per le aziende che fanno ricerca e sviluppo. Se non si crea l’ambiente non c’è ricerca, la gente se ne va e non si produce nulla.
A proposito di ricerca e sviluppo. Secondo alcuni, durante la negoziazione del patto di bilancio non si è fatto abbastanza per le politiche di crescita: tagli a capitoli di spesa che riguardano l’innovazione, l’istruzione, la ricerca e la competitività sono stati giudicati da Martin Schulz molto deludenti…
Quello che è appena stato approvato non è un bilancio di crescita ma di mantenimento dello status quo esistente. Io personalmente non avrei tagliato su politiche per la crescita, indispensabili per il rilancio dei paesi e perché l’Europa possa competere con l’Asia, ma su capitoli come agricoltura e pesca. Spero comunque che la questione si riaprirà con una futura manovra di rilancio.
“Bilancio europeo: l’Italia non aveva mai avuto un risultato così buono” queste sono, invece, le parole di Mario Monti. Ma non tutti sono d’accordo. Lei come giudica, nel complesso, i risultati del Consiglio europeo della scorsa settimana?
Io penso che per chi, come me che lavoro alla Bce, ha familiarità con le istituzioni europee il solo fatto di aver raggiunto un accordo è da vedersi come un grande successo perché il risultato non è scontato. Io non posso sostituirmi ai negoziatori, ma posso dire che a noi è andata bene perché abbiamo avuto una piccola riduzione della quota di contributo. Certo, si poteva osare di più sia per quel che riguarda gli investimenti esteri nello sviluppo sia per quelli infrastrutturali, ma per il momento dobbiamo accontentarci: i risultati di questo bilancio pluriennale sono il meglio che potevamo ottenere in un momento di transizione come questo.
Vuole dire che non siamo nella condizione di “tirare troppo la corda”?
Esattamente. L’Italia sta scontando anni di scarsa credibilità. Nonostante l’Agenda Monti sia fatta sul lungo termine ci vuole tempo perché il nostro paese riacquisti agli occhi degli altri la credibilità che merita tornando a rivestire un ruolo di stato leader e allora anche l’Europa ne trarrà beneficio come è successo negli anni ’50… e allora forse si potranno avanzare proposte più audaci.
Il Parlamento francese ha recentemente approvato una proposta di legge per l’istituzione dei matrimoni tra persone omosessuali. E’ un cambiamento epocale che sta coinvolgendo a mano a mano tutta l’Europa. Mario Monti ha, però, detto no alle nozze gay. Come si concilia, secondo lei, nella politica del professore una visione europeista e moderna per alcuni versi e conservatrice e tradizionale per altri?
La conciliazione sta nel fatto che si può essere europeisti e aperti al cambiamento per alcuni aspetti della politica, volendo sempre il bene dei cittadini in un senso più ampio, ma con sensibilità diverse su altre questioni. L’Europa fa parte di un panorama complesso piene di sfumature e nel quale ognuno vi entra con la sua unicità e con le sue idee pur mantenendo di base l’idea del bene comune. Per me queste non sono posizioni nette ma con sfumature che le rendono non incompatibili l’una con l’altra.
Loredana Recchia