di Thomas Fazi
«Il Monte dei Paschi oggi è a prezzi incredibili. Penso che la soluzione migliore sarà quella che il mercato deciderà. Mi piacerebbe tanto fosse italiana, ma chiunque verrà farà un ottimo affare… Gli eventi di queste ore agevoleranno fusioni, aggregazioni, acquisti. È il mercato, bellezza». Così il premier Matteo Renzi in un’intervista al direttore del Sole 24 Ore ha risposto sulla profonda crisi che sta attraverso il sistema bancario italiano.
Si tratta di una dichiarazione gravissima, che riflette in maniera drammaticamente chiara l’ideologia iper-mercatista del nostro primo ministro. In sostanza, quello che Renzi sta dicendo è che nel bel mezzo della crisi più grave nella storia dell’unità d’Italia, in cui la già fragilissima economia del nostro paese rischia di ricevere il colpo di grazia da una crisi bancaria che sembra ogni giorno più probabile, a causa dell’austerità europea e delle assurde regole dell’unione bancaria, ma anche di evidenti casi di mala gestione; in cui avremmo bisogno di un intervento deciso di politica pubblica che non si limiti a stabilizzare la situazione bancaria (anche se questo già sarebbe qualcosa), per esempio attraverso la nazionalizzazione di MPS, ma utilizzi tutti gli strumenti che il governo ha a disposizione – per quanto limitati, per le ragioni che conosciamo tutti – per rilanciare l’occupazione e risollevare un’economia che ogni giorno che passa dimostra in maniera sempre più evidente di non essere assolutamente in grado di risollevarsi da sé (per ragioni che ormai dovrebbero essere evidenti a tutti, a partire dalla carenza di domanda); ecco, in una situazione come questa, Renzi ritiene che sulle sorti del terzo gruppo bancario italiano, nonché della banca più antica del mondo – da cui ovviamente dipendono le sorti di tutto il sistema bancario italiano, e con esso dell’economia nel suo complesso – è giusto, addirittura “naturale”, che a decidere siano… “i mercati”.
Raramente il dogma neoliberista secondo cui i mercati sono perfettamente razionali e sempre in grado di “aggiustarsi” da sé (con lo Stato relegato al massimo al ruolo di “tappabuchi”, come nel caso dell’approvazione in extremis da parte del governo del piano per le bad bank, stabilizzando, per ora, il titolo MPS) è stato espresso in maniera così franca. Si tratterebbe di una dichiarazione irresponsabile (oltre che empiricamente falsa) anche se le turbolenze di queste giorni fossero effettivamente imputabili a “semplici” dinamiche di mercato; ma vi sono solide ragioni, come ipotizzato nei giorni scorsi anche dal Sole, per sospettare che quello in corso sia un vero e proprio assalto speculativo contro le nostre banche, finalizzato a facilitare il trasferimento a prezzi di liquidazione di pezzi importanti del nostro sistema bancario nelle mani del capitale finanziario internazionale («Mi piacerebbe tanto fosse italiana, ma…»), ma probabilmente anche di qualche speculatore nostrano come il finanziere Davide Serra, amico del premier, che ha già dichiarato il suo interesse ad investire in MPS.
Questo sembrerebbe confermare quanto scritto su queste pagine in queste settimane (vedi qui e qui), ossia che l’unione bancaria entrata vigore il 1° gennaio 2016 spianerà – sta già spianando? – il terreno ad un processo di “centralizzazione” dei capitali bancari in Europa, ossia ad un processo generalizzato di liquidazioni e acquisizioni delle banche dei paesi più deboli a favore delle banche dei paesi relativamente più forti, che costituisce forse l’aspetto più rilevante dell’attuale tendenza alla “mezzogiornificazione” dei paesi periferici dell’eurozona. A tal proposito, è interessante notare che uno dei primi effetti dell’introduzione dell’unione bancaria sembra essere proprio la fuga di grandi quantità di capitali (depositi) dall’Europa meridionale, specialmente l’Italia, verso le banche tedesche, lussemburghesi e olandesi. Ma cosa possiamo farci? Sono “i mercati” ad aver deciso così.