di Filippo Violi e Pasquale Cicalese
«Non si deve essere confusi dai discorsi di istituzioni straniere: se loro dicono che lo yuan calerà non significa certo che debba accadere. Ci può essere chi cerca di realizzare profitti diffondendo una visione bearish sulla valuta per indurre le società domestiche e il pubblico verso il panico. Ma la Cina ha la determinazione e la capacità di difendere lo yuan dalla speculazione».
Guan Tao, capo del dipartimento pagamenti internazionali SAFE (State Administration of Foreign Exchange), citato in Stefano Carrer, “E la Banca centrale compra renminbi”, Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2016
«Alcune forze speculative stanno cercando di guadagnare giocando con il renminbi ma tali attività di trading non hanno nulla a che fare con l’economia reale della Cina e hanno provocato fluttuazioni anomale».
Dichiarazione ufficiale della PBOC (People’s Bank of China), 7 gennaio 2016, fonte www.advfn.com.
Lunedì 4 gennaio ore 06.00 in Italia. Le agenzie di stampa occidentali battono la prima notizia di giornata: grosso scossone in Cina nella prima seduta borsistica dell’anno. L’indice Composite di Shanghai (SEEC) crolla del 7%, lo yuan non fa più gola (come si dirà più tardi), e l’economia, rispetto alle previsioni di fine anno, rallenta, creando un forte terremoto finanziario. La divisa cinese perde d’improvviso il suo fascino, da moneta di traino dell’economia occidentale (scambi commerciali e investimenti produttivi in asset strategici), nuova di look per l’entrata nel paniere delle valute di riserva dell’FMI, diventa d’un tratto vulnerabile, debole, floscia, priva di slancio.
La PBOC è chiamata a far fronte ad un ulteriore terremoto finanziario (ultimo giugno/agosto 2015) per un’enorme voragine provocata dal deflusso di capitali, i quali, fin da subito, verranno fatti accomodare in lidi più consoni alle proprie esigenze speculative e attrattive di borsa. Di sicuro la decisione a dicembre della presidente Janet Yellen di alzare, dopo quasi dieci anni, i tassi d’interesse della Federal Reserve dello 0,25%, non sarà passata inosservata e rappresenta una cartina di tornasole anche per finanziare le partite correnti americane.
Quindi, i media mainstream si sforzeranno a stabilire: siamo alla fine di una fase straordinaria particolarmente negativa, gli USA riprendono a correre, il PIL cresce del 2,1% e la disoccupazione migliore attestandosi al 5%, il dollaro ritorna essere moneta forte mentre l’economia cinese va in panne.
In realtà, quel che si omette di dire è che nel mondo è in atto una guerra finanziaria-militare diretta contro una potenza mondiale concorrente, portata avanti dal Pentagono e dalla NATO servendosi di colossi bancari quali Goldman Sachs, JP Morgan Chase, HSBC e di fondi speculativi in capo a magnati dell’alta finanza che controllano la Federal Reserve quali Soros, Rothschild e Rockefeller. Questi potentati megabancari, noti per l’utilizzo dei cosiddetti “programmi di trading ad alta frequenza”, sarebbe opportuno ricordare, sono i principali operatori finanziari all’interno della Cina; difatti operano a Shanghai tramite joint venture con società cinesi locali. Il gioco dell’aggiotaggio, come regola vuole, è praticato fino all’eccesso: insieme agli hedge fund a loro affiliati, hanno la capacità di spingere al rialzo il mercato azionario per poi farlo cadere, scatenando un deflusso di capitali dalla Cina e dando fuoco al mercato borsistico. Non solo minano la stabilità finanziaria dell’impero celeste, ma guadagnano fortune immeritate sia con i mercati in rialzo che in calo. Questa procedura è applicata anche ai mercati petroliferi, dei metalli e delle materie prime in generale. Queste fluttuazioni al ribasso, programmate a tavolino, dell’indice di Shanghai Composite in definitiva provocano la perdita di miliardi di dollari di investitori nonché l’aumento del debito, dovuto appunto all’utilizzo dei fondi statali da parte della PBOC e del “national team” [investitori di Stato] per sostenere la borsa di Shanghai.
Quindi, mentre il Pentagono e la NATO coordinano le operazioni militari contro paesi sovrani, Wall Street svolge concomitanti azioni destabilizzanti tramite la manipolazione dei mercati del petrolio, dell’oro e in valuta estera nei confronti di Russia e Cina (caso Ucraina-FMI e riduzione prezzo del greggio al fine di indebolire il rublo). L’intento finale è quello di attaccare, attraverso mezzi non militari, l’alleanza strategica sino-russa e il nuovo ordine mondiale della via della seta che passa attraverso la nuova banca d’investimento asiatica (AIIB) e il nuovo sistema di pagamenti e di transazioni finanziarie alternativo al sistema globale interbancario SWIFT, posto sotto controllo americano.
Questo è il motivo principale per cui l’economista capo di Nomura, Richard Koo, ha spiegato la logica di considerare l’AIIB come una minaccia all’FMI controllato dagli Stati Uniti: «Se il rivale dell’FMI è in modo eclatante sotto l’influenza della Cina, i paesi che ricevono il suo appoggio ricostruiranno le loro economie sotto quella che è effettivamente la guida cinese, incrementando la probabilità di cadere direttamente o indirettamente sotto l’influenza di quel Paese».
Quindi in gioco c’è la riconfigurazione del nuovo ordine finanziario mondiale con l’entrata di prepotenza della yuan cinese nel paniere delle valute dell’FMI. Il piano della Cina per una nuova via della seta che integri un’economia euroasiatica indipendente dal controllo finanziario e commerciale americano per Washington dev’essere ad ogni costo fermato. L’FMI, eliminando il debito (in dollari) dell’Ucraina verso la Russia (3.000 milioni di euro), ha creato un caso storico non indifferente e senza precedente violando il proprio codice e le regole interne, per il quale i prestiti sono concessi a paesi solo sotto ordine o autorizzazione. Ciò che non era accettabile per la Grecia, per esempio, è stato invece possibile per l’ Ucraina. Ordini degli Stati Uniti, gli altri obbediscono. La Cina sta fornendo prestiti ai paesi in tutto il mondo come alternativa all’FMI e alla sua politica di austerità, occorre quindi progettare una politica interventista per bloccare gli accordi commerciali e finanziari al di fuori del controllo degli Stati Uniti; l’obiettivo è quello di proteggere i loro alleati e allo stesso tempo frenare questo processo in avanti. L’FMI dovrà quindi continuare ad essere l’unico istituto riconosciuto a livello mondiale che possa concedere facilitazioni di pagamento ai creditori occidentali, mentre altri Stati (ora la Russia, la Cina domani) non lo potranno fare. L’alleanza strategica sino-russa è chiamata a misurarsi in questo nuovo scenario mondiale su un terreno da sempre gradito e imposto dagli USA: utilizzare i legami commerciali e di credito per consolidare la supremazia nella diplomazia geopolitica.
Per rendere chiaro ciò che sta accadendo, la Cina e la Russia hanno deciso di rafforzare la loro cooperazione in investimenti, risorse minerali, petrolio, gas, settore nucleare, aerospaziale, agricoltura, finanza, tecnologia militare e dare maggiore impulso all’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, accelerando di fatto il processo di de-dollarizzazione delle loro economie. Tanto è vero che lo scambio tra yuan e rubli nel 2015 è stato pari a 3 miliardi di dollari. Ciò significa che nel 2017-18, quando entrerà in funzione il gasdotto – il Power of Siberia – tra i due paesi con la fornitura trentennale, cominceranno a sparire dal mercato petrodollari pari a decine di miliardi di dollari in tre anni, secondo le stime di Goldman Sachs. Il nome del cane ferito è facile da indovinare: gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. E, indirettamente, l’intera economia occidentale.
Indubbiamente c’è da dire che con il gonfiamento della bolla azionaria tra il 2014 e il 2015, con indici passati da 2 a 5 mila punti, la dirigenza cinese è come se incidentalmente avesse offerto un’occasione agli americani per colpirli e alcune azioni successive non sono state azzeccate. Il desiderio di far entrare lo yuan nel paniere dell’FMI ha causato notevoli distrazioni nel preparare un mercato finanziario solido, ma c’è da dire che le affermazioni e le accuse delle autorità cinesi agli speculatori esteri trovano una certa corrispondenza, soprattutto se si guardano i dati cinesi. Nel 2015 la Cina ha avuto un surplus delle partite correnti pari a 381 miliardi di dollari (3,1% del PIL), la crescita è stata del 7% ma ciò che più conta è che per la prima volta l’apporto dei consumi interni alla crescita complessiva è stata pari al 60%, relegando in secondo piano l’export, che ha avuto una diminuzione del 6,9%, dovuto soprattutto alla caduta del commercio mondiale. Il risparmio è tuttora elevato, circa il 48% del PIL ed è passato dai 1.790 miliardi di dollari del 2007 ai 5.392 miliardi di dollari del 2015. Nello stesso periodo i risparmi sono ammontati a 32.593 miliardi di dollari e gli investimenti a 30.271 miliardi di dollari (si veda Guido Salerno Aletta, “Come in Europa, il QE di Pechino gonfia la bolla finanziaria, non l’economia reale”, Milano Finanza, 12 gennaio 2016).
Sono cifre imponenti che danno l’idea della posta in gioco. La trappola consisterebbe nel creare panico per far defluire l’immenso risparmio cinese verso Wall Street. La risposta secondo noi sarà, oltre che di difesa del valore della moneta, su cui sono disposti a sacrificare parte delle riserve valutarie, in misure di politica fiscale. Alla bolla finanziaria si risponde con la razionalizzazione produttiva tesa a frenare la sovraccapacità, nel mentre la forza lavoro coinvolta viene spostata nei settori dei servizi, che stanno conoscendo un boom; in seguito si attuerà, come previsto dal nuovo piano quinquennale, la riconversione energetica ed ambientale dell’economia produttiva, mentre da un punto di vista societario proseguiranno con fusioni tra imprese pubbliche, collocamenti azionari e quotazioni azionarie, di modo che il risparmio trovi sbocchi interni. Probabilmente da marzo si annunceranno misure di politica fiscale che si tradurranno nel proseguimento della reflazione salariale e nella costruzione di un assetto adeguato di salario sociale globale di classe, a seguito del quale l’immenso risparmio confluisca nei servizi e nei consumi.
L’accenno sul mercato interno porta a considerare che la volontà cinese di difesa della valuta sarà consistente e di grande forza. Finora la svalutazione dello yuan è stata pari al 4,7%, faranno di tutto per recuperarla. Una considerazione: l’Europa ha ucciso l’economia interna e opera attraverso svalutazioni competitive (-25% sul dollaro in un anno e mezzo), la Cina vuole una moneta solida e forte non solo ai fini interni ma per trasformare lo yuan in moneta di riserva globale e prepararsi nel 2016 alla nascita della banca dei BRICS. Quest’ultima, assieme alla AIBB (Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture), la via della seta, il gasdotto Power of Siberia, in funzione dal 2017, provocherebbero, se attuati simultaneamente nel giro di due anni, una forte de-dollarizzazione del commercio mondiale e, unito alla volontà di fare a meno del sistema USA dei pagamenti SWIFT, una sbalorditiva sfida all’egemonia del dollaro. Da qui l’attacco allo yuan, bisogna impedire che questa moneta raggiunga lo status di riserva globale prima che questi eventi si realizzino. È la guerra per eccellenza dei prossimi due anni, l’esito sarà decisivo per le sorti non solo delle relazioni internazionali ma per l’economia mondiale. Caos e asset inflation occidentale contro reflazione salariale ed economia reale dei BRICS. Il 2016 si preannuncia, nella contesa, l’anno chiave per il nuovo ordine finanziario mondiale.
Pubblicato su Marx21.it il 13 gennaio 2016.