Bruxelles – Lo sfaldamento di Schengen sta mettendo l’Europa con le spalle al muro. Con gli Stati membri che uno dopo l’altro decidono di procedere per conto proprio e gestire la crisi dei rifugiati chiudendo i propri confini, l’Unione europea ha sempre più difficoltà a trovare una soluzione comune per uscire da questa situazione che si fa più difficile ogni giorno. E ora la patata bollente passa nelle mani di Paesi Bassi. Al governo di Mark Rutte spetta la prima presidenza semestrale dell’Ue del 2016 e chiaramente il dossier immigrazione sarà in cima all’agenda. Al premier olandese è stato chiesto di “deliver”, di far approvare l’ultima proposta della Commissione europea, quella della creazione di una guardia frontiera europea che aiuti i Paesi di confine a gestire meglio i flussi migratori, e che abbia il potere di intervenire in casi straordinari anche contro la volontà dello Stato membro se questi dimostri di non essere capace di difendere da solo i confini dell’Ue. L’ultima carta giocata dall’esecutivo comunitario guidato da Jean-Claude Juncker che non sa più cosa inventarsi per provare a tenere unita l’Europa.
Il compito non sarà facile e per questo Rutte ha detto, durante una conferenza stampa congiunta con Jean-Claude Juncker e Frans Timmermans a L’Aia, che sul tema verrà convocata “una riunione al mese nel formato più adatto”, che con ogni probabilità sarà il Consiglio Affari interni. “Lavoriamo per ottenere tre risultati concreti”, ha promesso Rutte: “Far diminuire in maniera considerevole il numero degli ingressi di migranti”, una cosa che è “di importanza cruciale”, in quanto “non possiamo continuare con i numeri attuali”, poi “assicurarsi che l’onere venga condiviso in maniera giusta tra gli Stati”, e per farlo bisogna far funzionare il programma di ricollocamento dei rifugiati presenti in Italia e Grecia, e infine “assicurarsi che ogni Stato abbia una capacità di ricezione sufficiente all’interno dei propri confini”, e che naturalmente sia disposto a farsi carico della sua parte di accoglienza, cosa per niente scontata.
Una migliore protezione dei confini esterni per Bruxelles è l’unica maniera per evitare il dissolvimento di Schengen. Fermare migranti e rifugiati prima che arrivino. In questo un ruolo importate dovrebbe averlo la Turchia, a cui l’Europa si è impegnata a versare 3 miliardi di euro nei prossimi tre anni per aiutarla a sostenere l’accoglienza di quanti scappano dalla Siria. Ma per ora i risultati di questo patto con il diavolo, che tanto ha fatto discutere viste le numerose accuse di violazioni dei diritti individuali mosse ad Ankara da più parti, stentano a farsi vedere. “La Turchia sta implementando il nostro piano d’azione comune”, ma “si deve fare più”, visto che gli ingressi in Europa di immigrati che transitano dal Paese “sono ancora alti”, ha ammesso il primo vicepresidente della Commissione Frans Timmermans in conferenza stampa. Per tentare di sbloccare l’impasse, il braccio destro di Juncker volerà ad Ankara per una serie di incontri domenica e lunedì.
“Posso capire che alcuni Paesi siano preoccupati ma non accetto che ora si abbandoni Schengen”, ha affermato da parte sua Juncker secondo cui “dobbiamo salvare” la libera circolazione e uno dei modi per farlo “è introduzione dei controlli a confini esterni e la guardia costiera europea”. Juncker è convinto che riattivare i controlli ai confini interni come hanno fatto Svezia, Danimarca, Norvegia, Austria, Germania e Francia “non è la risposta definitiva” al problema. “Il filosofo francese Blaise Pascal”, ha concluso, “diceva che amava le cose che vanno insieme, e io la penso come lui e ritengo che il ricollocamento, i reinsediamenti dai Paesi terzi e la protezione dei confini vanno insieme e sono convinto che i Paesi Bassi riusciranno a ottenere un buon risultato”.