Siano benvenute le vicende delle quattro banche locali che riempiono le cronache delle utile settimane, il decreto salva-banche e la posizione dell’Unione europea. E’ quello di cui la politica e l’economia italiana avevano bisogno da tempo.
In breve, cosa è successo: quattro banche, minuscole, quasi insignificanti nel sistema nazionale, del quale rappresentavano, tutte insieme, meno dell’uno per cento, sono state mal gestite, certamente mal controllate (forse proprio perché così piccole?) e salvate, di corsa, nella maniera che è stata possibile. Cioè rispettando le norme che, anche con la partecipazione del governo italiano (di vari governi italiani), sono state decise a Bruxelles. Il senso alla base di queste regole è che se una banca fallisce, a pagare non devono essere tutti i cittadini, anche quelli che neanche ne conoscevano l’esistenza, attraverso gli “aiuti di Stato”, che altro non sono che i soldi delle nostre tasse e imposte. A risistemare la situazione, secondo procedure molto complesse, devono essere quelli che nella banca avevano interessi. E anche i dirigenti un prezzo lo dovranno pagare. E’ giusto che sia così, quando la norma fu approvata ci fu un generale coro di approvazione.
A noi in Italia sembrava poi che la questione non dovesse quasi interessarci, vista la solidità dei nostri principali istituti di credito (che poi siano solidi anche perché, per colpe non solo loro, non fanno il loro dovere di prestare soldi all’economia è un altro discorso). Invece una minuscola, insignificante parte del nostro sistema creditizio è andata in tilt, e qualche migliaio di risparmiatori ne ha pagato il prezzo. Alcuni sono stati truffati (anche con gli esiti personali tragici che conosciamo tutti), circuiti, e per questo qualcuno dovrà pagare. Altri no, hanno accettato un rischio più alto consapevolmente, per avere rendimenti migliori, ma si sa, a maggior guadagno corrisponde maggior rischio, altrimenti tutti sceglierebbero gli investimenti più redditizi.
Dunque Bruxelles ha detto che lo Stato non può mettere soldi suoi per salvare queste banche e neanche imporre con una legge ai privati di metterceli. Lo stesso è successo, ieri, per la banca Tercas, altra piccola cassa locale, e per una parte di aiuti all’Ilva, che il governo giustifica con un intervento di tutela ambientale.
Tradotto in italiano questo vuol dire che “Pantalone smette di pagare” per le furberie, gli errori o le incapacità degli imprenditori. Una situazione del genere non può che essere positiva, perché alla lunga, estesa, messa in pratica, genererà un sistema economico e imprenditoriale più sano, che non avrà la certezza di poter fare (e alle volte rubare) quel che vuole tanto poi lo Stato ci mette una pezza. Gli avventurieri dell’industria, delle banche avranno molto meno spazio di manovra, non potranno più trovare complicità perché non ci sarà il modo di coprirli. E’ il virtuosismo delle riforme. E lo Stato smetterà di usare i soldi dei risparmiatori per coprire buchi ma potrà investirli in scuole, attività produttive, insomma per tentare una crescita più sana in un ambiente economico e finanziario più responsabile.