Bruxelles – La carne rossa è un pericolo? I fritti fanno male? I carboidrati vanno tenuti sotto controllo? Mangiare “sano” è diventato sempre più difficile, gli agguati alla nostra salute sembrano dietro ogni forchettata. O forse no, almeno per noi popoli mediterranei. Noi che ci affacciamo su questo mare abbiamo probabilmente qualche difesa in più, se continueremo a mantenere una dieta ragionevole, semplicemente continuando a seguire le nostre abitudini. Un paradigma che sembra semplice, ma che la crisi economica sta mettendo in discussione. Lo spiega in questa intervista il professor Giovanni de Gaetano, responsabile del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione I.R.C.C.S dell’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed, che da oltre vent’anni fa ricerca in partnership con l’Università di Roma “La Sapienza”.
EUNEWS – Esiste la dieta mediterranea? Cose mette in comune la dieta, ad esempio di un ligure con quella di un campano o di un siciliano?
DE GAETANO – Prima di rispondere a questa domanda, bisogna chiarirsi sul concetto di dieta mediterranea. Con questo termine intendiamo un modo di alimentarsi tipico delle aree del bacino del Mediterraneo e quindi di Paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna ma anche alcune aree del Nord Africa. La caratteristica di questo modello alimentare è quello di mangiare alcuni cibi più di altri, ma anche il modo in cui li si combina. Ad esempio, la pasta è spesso accompagnata con le verdure, e l’olio extravergine di oliva è in genere la fonte principale di grasso, al posto del burro o di altri grassi animali. Non ultima l’abitudine di accompagnare i pasti principali con uno o due bicchieri di vino rosso. Alla base della piramide alimentare mediterranea ci sono ovviamente frutta e verdura, ma anche carboidrati complessi come pasta, pane o riso. Nelle ultime versioni della piramide, è stata inclusa anche la convivialità, tratto distintivo del rapporto che le popolazioni del Mediterraneo hanno con il cibo. In questo senso, il campano, il ligure e il siciliano condividono la stessa attitudine mediterranea, con qualche sfumatura locale che non credo possa compromettere la comune appartenenza alla cultura mediterranea. Alcuni nostri dati recenti, ad esempio, indicano che l’adesione al modello mediterraneo è sostanzialmente uguale nelle aree del Paese, senza particolari differenze tra Nord e Sud.
E – Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche in tema di prevenzione delle patologie, quali sono i principali punti di forza della Dieta Mediterranea?
DG – Quello mediterraneo rappresenta ancora oggi un autentico scudo salvavita contro le principali malattie croniche, come quelle cardiovascolari, i tumori e anche le patologie neurodegenerative. Lo dicono i dati internazionali, ma anche quelli prodotti in Italia, soprattutto nell’ambito dello studio MOLI-SANI*. Una delle domande che ci siamo posti sin dall’inizio è proprio se abbia ancora senso parlare di dieta mediterranea e dei suoi benefici a distanza di oltre mezzo secolo da quando fu teorizzata da Ancel Keys. Grazie a un campione di 25mila persone e a informazioni dettagliate sugli stili di vita alimentari, lo studio MOLI-SANI sta contribuendo a fare chiarezza su questo argomento. Dalle numerose indagini effettuate finora, si conferma che un modello alimentare di tipo mediterraneo resta la modalità di prevenzione più efficace a nostra disposizione. E questo nonostante gli alimenti di oggi siano diversi da quelli che si consumavano nei decenni scorsi (come le farine raffinate che oggi hanno preso il posto di quelle integrali) e abbiano un’origine prettamente industriale. Senza contare gli stravolgimenti sociali e culturali che hanno comunque finito per cambiare il nostro approccio alla tavola e alla preparazione del cibo. Al netto di queste rivoluzioni, la dieta mediterranea conferma i suoi benefici per la salute umana.
*Partito nel marzo 2005, il progetto ha coinvolto circa 25.000 cittadini, residenti in Molise, per conoscere i fattori ambientali e genetici alla base delle malattie cardiovascolari e dei tumori. Lo studio Moli-sani, oggi basato nell’IRCCS Neuromed, ha trasformato un’intera Regione italiana in un grande laboratorio scientifico.
E – E’ sufficiente mangiare “mediterraneo”? Sono solo i cibi a fare la differenza o c’è dell’altro?
DG – Se si mangia mediterraneo, si è già a metà dell’opera. Ma è chiaro che un sano stile di vita prevede anche altri comportamenti. A cominciare dal fumo che, a differenza di altri fattori, non presenta zone d’ombra, bisogna eliminarlo e basta. Non dimentichiamo poi che lo stile di vita mediterraneo include anche una costante e moderata attività fisica, come insegnano i nostri nonni.
E – Che ruolo ha la carne nel quadro della Dieta Mediterranea, soprattutto alla luce delle recenti polemiche a seguito della presa di posizione OMS?
DG – La dieta mediterranea è equilibrio. Se si guarda attentamente la piramide, si noterà che nessun cibo è messo al bando, ma è solo la sua posizione a determinare che ruolo deve avere nella nostra alimentazione. La carne in questo senso non è esclusa ma è posta al vertice, luogo in cui si trovano i cibi da consumare in moderazione, una volta alla settimana. Più elasticità per la carne bianca, tipo pollame, che invece può essere consumata anche due volte a settimana. Nella Dieta mediterranea la carne non è mai considerata a sé stante, come invece appare nell’elenco stilato recentemente dall’OMS, ma nel complesso dell’alimentazione. Credo che non ci sia nulla di restrittivo in questo modo di concepire l’alimentazione, tutt’altro. Ovviamente, un consumo eccessivo di carne, soprattutto se “bruciata” sulla brace o conservata in insaccati ricchi di sale e di altre sostanze, va sicuramente sconsigliata.
E – La crisi economica ha portato a cambiamenti nelle abitudini dei cittadini italiani e europei. Quanto ha influito sulla Dieta Mediterranea? La si sta seguendo di più o di meno?
DG – È questo il punto più delicato, a mio avviso. Finora la scienza si è occupata di dimostrare i benefici degli stili di vita alimentari per la salute. E per quanto anche il nostro gruppo continui a lavorare in questa direzione, allo stesso tempo abbiamo voluto approfondire un aspetto importante, fortemente associato alla salute. L’inizio della crisi economica sembra aver accentuato le disuguaglianze socioeconomiche in termini di diversità alimentare. In altre parole, a partire dal 2007, la ricchezza è diventato un determinante di adesione alla dieta mediterranea, cosa che non accadeva negli anni precedenti. Un paradosso, se si pensa che ai tempi di Keys, quella mediterranea era proprio la dieta dei contadini, di coloro che avevano poco su cui contare. Ora il panorama è decisamente cambiato e sono i soggetti benestanti a seguire maggiormente una sana alimentazione. Chi ha difficoltà economiche tende a tirare la cinghia e a risparmiare. D’altro canto le calorie a buon mercato sono anche quelle di bassa qualità. Ecco perché è fondamentale non solo continuare a studiare la dieta mediterranea nel XXI secolo, ma anche impegnarsi affinché tutti possano continuare a praticarla.