Roma – “Abbiamo bisogno di piccole e medie imprese che crescono”. Ne è convinto il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, secondo il quale questa crescita può essere garantita dalla internazionalizzazione delle Pmi. Per operare nel mercato globale, è il suo ragionamento, le aziende di queste dimensioni hanno bisogno di investire e dunque di accedere ai finanziamenti, che però non devono essere necessariamente pubblici. Un problema sul quale si è concentrato il seminario Asem che ha visto riunirsi a Roma esponenti della politica, del mondo finanziario e di quello produttivo dei paesi euroasiatici, e del quale lo stesso Della Vedova ha tracciato le conclusioni.
Sottosegretario, cosa è emerso da questo incontro?
“Il seminario puntava al confronto di esperienze. Il tema del finanziamento delle medie imprese si pone con termini differenti ma si pone ovunque. Molte imprese, piccole e medie, hanno difficoltà a internazionalizzarsi perché diventa complicato per loro acquisire finanziamenti e avere accesso a strumenti di tipo ‘equity’ e non di debito verso le banche. L’incontro è servito a confrontare esperienze, potenzialità, ipotesi per strumenti comuni tra le due regioni. Con i paesi asiatici possono svilupparsi canali di finanziamento in loco, con la creazione di joint venture che consentano alle nostre aziende di ampliare il business, non in termini di de-localizzazione ma di investimenti produttivi, con partnership di tipo industriale ma anche finanziario. Che siano agenzie governative o istituzioni finanziarie private poco conta”.
Tra i soggetti alternativi alle banche per il finanziamento del sistema produttivo ci sono i fondi pensione. C’è il rischio che il loro coinvolgimento possa mandare in fumo le future pensioni dei lavoratori?
“Il rischio c’è se i fondi vengono gestiti male. Se vengono gestiti bene no. Questo sta alla saggezza di chi gestisce i fondi”.
Basta affidarsi a questo o è opportuno un intervento della politica per individuare forme di garanzia?
“Laddove i fondi, anche i fondi pensione, hanno bruciato risorse anziché mantenerle e incrementarle con una gestione prudente, lo si è dovuto a investimenti che non riguardavano l’economia reale e il settore produttivo. Investimenti nei settori produttivi possono essere presi come interventi a rischio, ma congegnati bene possono costituire una parte degli impieghi anche dei fondi pensione. Poi ci sono anche strumenti come i fondi di fondi, che distribuiscono il rischio”.
Oltre a facilitare l’accesso al credito, le Pmi andrebbero sostenute anche con un intervento pubblico?
“L’ultima cosa che manca oggi è la liquidità. Non c’è bisogno di risorse pubbliche. Un ruolo del pubblico, normativo e di altro tipo, può essere esercitato per mettere a punto strumenti che possano intermediare questa liquidità – quella, ad esempio, che viene dalla Banca centrale europea – e metterla a disposizione, renderla accessibile alle piccole e medie imprese. Il punto è rendere accessibili con strumenti adeguati le risorse finanziarie che oggi ci sono, anche in Europa ormai.
I trattati commerciali come il Ttip possono essere un ulteriore strumento per lo sviluppo delle Pmi?
“Per un sistema come il nostro, in cui l’aspetto export è molto importante, è evidente che in linea di principio i trattati commerciali, agevolando gli scambi internazionali, sono positivi e benvenuti. È il caso anche del Ttip, per il quale ci sono elementi di criticità che richiederanno attenzione nella struttura del trattato, ma credo che alla fine il segno sia positivo. La questione che si pone è se si riuscirà ad arrivare in fondo in tempi compatibili con i vari cicli politico elettorali sulle due sponde dell’Atlantico.
Il sistema produttivo italiano è molto incentrato sulle piccole e medie imprese. Si capisce dunque il nostro interesse per iniziative come quella di oggi. Anche gli altri Stati membri hanno la stessa attenzione verso le Pmi?
“Nell’Unione europea, il 90% delle imprese registrate è di dimensioni piccole o medie e genera il 60% dell’occupazione. L’attenzione verso le Pmi ci accomuna tutti. Alcuni sistemi produttivi, pensiamo a quello tedesco, hanno una presenza di grandi o grandissime imprese più significativa. Lo giudico positivo per loro e uno svantaggio per noi. Abbiamo bisogno di piccole e medie imprese che crescono. È un tema di grande attenzione europea, anche da parte delle istituzioni comunitarie. Il punto è di creare le condizioni per la crescita di queste imprese. L’internazionalizzazione è una opzione, e strumenti finanziari adeguati possono accompagnare la crescita”.
Che ruolo sta giocando, o può giocare, il Piano Juncker?
“Potrà forse giocare qualche ruolo nel momento in cui verrà completamente implementato. Anche se è un piano che ha come leva principale quello di interventi strutturali, non di misure finanziarie. Nel momento in cui si attivasse, come auspichiamo, una domanda, anche infrastrutturale e comunque legata agli investimenti del piano Junker, si può scommettere sull’aumento della domanda in generale e sul fatto che anche piccole e medie imprese diventeranno protagoniste nel soddisfare questa nuova domanda”.