Bruxelles – C’era una volta l’Unione europea, quella che “i diritti fondamentali prima di tutto” e che “gli arresti dei giornalisti sono un ostacolo insormontabile nel processo di avvicinamento della Turchia all’Ue”. Una volta, appunto. Poi, è arrivato il fiume inarrestabile dei disperati in fuga dal Medio Oriente e con questo la paura di non farcela a gestire la situazione. Così si è finito per cedere alla voglia di chiudere un occhio (e pure tutti e due) sul rispetto dei valori imprescindibili, pur di ricevere un aiuto nella gestione della crisi dei rifugiati.
Pochi giorni fa, con elezioni cruciali alle porte, sette canali televisivi ostili all’Akp di Recep Tayyp Erdogan sono stati costretti a sospendere le trasmissioni. Ora il gruppo editoriale Koza-Ipek, uno dei più grandi della Turchia, che possiede due emittenti e due quotidiani, guarda caso su posizioni fortemente critiche nei confronti del governo, è stato “commissariato” con la nomina di fiduciari al posto del consiglio esecutivo dell’azienda. Secondo i rilievi, il 90% delle ore di trasmissioni dal vivo della tv di Stato turca Trt sono state dedicate a Erdogan o al suo partito negli ultimi 25 giorni di campagna elettorale. Qualcosa di cui lamentarsi o per lo meno per cui chiedere chiarimenti, ci sarebbe eccome.
E infatti gli Usa si fanno sentire: “Gli Stati Uniti credono fortemente che la libertà di stampa e di espressione siano diritti universali” e “quando c’è una riduzione nello spettro dei punti di vista disponibili per i cittadini, specialmente prima di un’elezione, è un elemento di preoccupazione”, critica l’ambasciata Usa ad Ankara. Qualche appunto simile dall’Unione europea? Nemmeno per sogno: rispondendo a specifiche domande sul tema, i portavoce della Commissione derubricano l’accaduto a “sviluppi interni” su cui Bruxelles non intende commentare. Ci si deve forse essere dimenticati che appena pochi mesi fa l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini e il commissario Ue all’allargamento, Johannes Hahn scrivevano comunicati stampa congiunti proprio per condannare le incursioni della polizia nelle sedi dei media e gli arresti dei giornalisti e definivano il comportamento come “contrario alle norme e ai valori e le norme europee di cui la Turchia aspira a fare parte”. Anche nella scorsa Commissione, la commissaria Neelie Kroes non perdeva occasione per bacchettare Erdogan su ogni mossa contraria alla libertà di espressione, dalla chiusura di Youtube all’oscuramento di Twitter. Ma ora le cose sono cambiate, ora la Turchia ci serve come l’ossigeno.
Tanto che non solo siamo disposti a tacere rinnegando quella funzione di baluardo della democrazia che l’Ue orgogliosamente rivendica ad ogni occasione, ma siamo anche disposti ad offrire alla Turchia di Erdogan un ruolo di partner privilegiato. Siamo disposti a chiamare il dittatore “amico” (come Juncker non perde occasione di fare mentre negozia un piano di azione sui rifugiati che lo coprirà d’oro), e ad offrire ad Ankara un’accelerazione nel processo di adesione all’Unione europea di cui sta calpestando i valori. È il prezzo da pagare, Juncker sembra averlo messo in conto, per convincere Ankara a tenere sul suo territorio, almeno una parte di quei profughi che altrimenti rischiamo di ritrovare ad affollare i nostri centri di accoglienza straripanti.
Con la schiettezza che gli è propria il presidente della Commissione lo riconosce senza tanti giri di parole: “La Turchia ha 2,5 milioni di profughi più di noi e da più tempo. Ci sono due cose da fare: o gli diciamo che esistono questioni irrisolte su diritti umani e libertà di stampa, ma al momento questo non ci porta da nessuna parte, oppure cerchiamo di concentrarci sui passi concreti da fare: ad esempio la Turchia è d’accordo per fare tutto possibile perché i rifugiati restino nel suo territorio”, ha detto oggi il presidente della Commissione davanti alla plenaria del Parlamento europeo. Insomma: “Che ci piaccia o meno, noi con la Turchia dobbiamo lavorare”, taglia corto Juncker. Niente più, niente meno: le battaglie per i diritti umani non portano da nessuna parte, gli scambi di concessioni sì. Peccato che così facendo, insieme ai diritti dei cittadini turchi, l’Unione europea svenda anche la sua credibilità.