Roma – La bozza della legge di stabilità italiana dovrebbe essere valutata da Bruxelles come il segno che ci sono Paesi orientati verso politiche espansive in campo economico e, in ogni caso, la Commissione europea dovrebbe astenersi dal giudicare le scelte specifiche e limitarsi a valutare i saldi. Ne è convinto il vicepresidente del Parlamento Europeo David Sassoli, che lo spiega in una intervista.
Presidente Sassoli, il suo è un giudizio positivo sulla manovra presentata ieri dall’esecutivo. Perché le piace?
Mi sembra sia la premessa per poter dire che l’Europa esce dal tunnel del rigore, che ci sono Stati memrbi che stanno pensando a come attrarre investimenti, che stanno scegliendo i campi su cui investire, quelli su cui tagliare: tutto quello che i Paesi in questi anni hanno rinunciato a fare. Credo che tutto ciò, da parte dell’Unione europea, non possa non essere apprezzato, perché abbiamo detto che il rigore non è sufficiente a farci uscire dalla crisi né tanto meno a farci riprendere il largo.
La critica preventiva della Commissione riguarda il taglio delle imposte sulla prima casa.
Sì, ma sono voci molto di corridoio e non darei peso a questo. Adesso vedremo quali saranno le obiezioni della Commissione europea, ma è giusto che i Paesi vengano giudicati sui saldi e non sulle operazioni che mettono in campo. Questo vale per l’Italia ma anche per gli altri.
Anche l’orientamento dei tagli però è importante. L’indicazione dell’esecutivo Ue è di privilegiare la riduzione della pressione fiscale sul lavoro invece che sui patrimoni, misure che stimolano meglio lo sviluppo. Condivide?
Bisogna garantire sviluppo e consumi. Sono condizioni per attivare investimenti, ridare fiducia al Paese, rimettere un Paese nella condizione di correre. Abbiamo capito ormai da molto tempo, lo dice anche il Fondo monetario internazionale, che di solo rigore su può soltanto morire. Questo la Commissione lo terrà sicuramente presente. Ripeto: vedremo quali sono le obiezioni, però penso sia saggio non andare sulle singole politiche che i Paesi scelgono. Quelle le scelgono i governi, non le può scegliere la Commissione europea.
Ieri, tra i punti sul tavolo del Consiglio europeo c’era anche il rapporto dei 5 presidenti sulla nuova governance dell’Europa. Che direzione bisogna prendere?
Negli ultimi mesi, da quando è uscito quel rapporto, qualcosina è cambiata. Per certi versi è un documento un po’ datato. La questione immigrazione ha fatto emergere la necessità di un’Europa che parli con una voce sola. È molto importante la posizione di alcuni governi, come la Germania, che hanno detto e fatto capire chiaramente che ormai Dublino (il regolamento sul diritto di asilo europeo, ndr) è alle spalle. Se non c’è Dublino serve un concerto europeo che affronti insieme questioni decisive. Sullo sfondo c’è il problema di come governare lo spazio europeo, perché i vecchi meccanismi sono farraginosi, molto burocratici, hanno bisogno di unanimismi anacronistici. Su questo la riflessione è tutta aperta.
Alcuni propongono un doppio livello, uno per l’Ue e uno per l’Eurozona, con la creazione di istituzioni per legittimare democraticamente le decisioni di politica economica dell’area a moneta unica. Che ne pensa?
La politica economica è un pezzo della politica e della governance complessiva. Abbiamo in questo momento un fattore nuovo che non va sottovalutato: c’è un’alleanza sempre più forte tra Parlamento europeo e Commissione, due istituzioni che nascono in parte dalla volontà popolare. Naturalmente il Parlamento nasce esclusivamente dalla volontà popolare. Ma anche Commissione – in questa legislatura che ha visto per la prima volta l’indicazione, da parte di tutte le liste, di un candidato per la guida dell’esecutivo comunitario – nasce da un segno dato dall’opinione pubblica europea. Tutto questo dobbiamo rafforzarlo. Certo, il peso del Consiglio è sempre molto forte. Le tecniche e le modalità intergovernative cercano sempre di prevalere su quelle comunitarie e questa è la grande sfida che abbiamo davanti.
Non ha risposto sul doppio livello di governance: è utile costruire altre istituzioni per la zona euro distinte da quelle dell’Ue?
Il discorso sul doppio livello ci impone di tenere presente che abbiamo istituzioni in qualche modo sovrane ma non sovrane. Questo rende necessaria una semplificazione. Come adottare le decisioni, come sviluppare le modalità legislative, come implementare le decisioni del Parlamento? Questo fa parte di un disegno che noi abbiamo chiaro: vogliamo che l’Europa sia governata come le democrazie classiche, con un parlamento e un governo. Per fare queste cose dobbiamo però vincere moltissime resistenze.
La ridiscussione della partecipazione britannica all’Ue può essere una opportunità per ridiscutere la governance, nel suo complesso, o un rischio perché altri Paesi potrebbero pretendere le stesse libertà del Regno unito?
C’è chi dice che sarà una opportunità. Io non ci credo, ma penso che i cittadini britannici, alla fine, sono molto più attaccati all’Europa di quello che alcune classi politiche fanno credere, magari forzando su tanti meccanismi.