Da qualche tempo si va affermando una scoraggiata affermazione secondo la quale “la democrazia non ha la forza di salvare sé stessa”. La preoccupazione viene dall’analisi del fatto che, attraverso sistemi democratici (al netto delle influenze dei gestori dei social media, che comunque esistono o posso essere decisive) anche forze non democratiche riescono ad affermarsi ed alle volte a prendere il potere, o comunque a dettare l’agenda in Paesi di consolidata democrazia, stravolgendone la natura.
Alla luce dei fatti questa affermazione scoraggiata potrebbe essere vera, nel senso che il fenomeno c’è, anche se, in realtà, è forse meno diffuso di quanto venga affermato, in particolare dalle forze meno democratiche. In Germania è indubbio che il partito forse neo-nazista di Afd abbia avuto uno straordinario successo elettorale, ma è anche indubbio che i tedeschi sono andati in massa alle urne (84 per cento) come non avevano mai fatto del 1987 ed hanno però detto “no” a Afd, perché l’80 per cento di loro ha votato per partiti democratici “tradizionali” dal centrodestra alla sinistra. Dunque non è possibile affermare che “il popolo tedesco” ha scelto la destra radicale, anche se si può dire che molti tedeschi, soprattutto all’Est, l’hanno scelta.
Negli Stati Uniti è andata diversamente, Donald Trump ha stravinto le elezioni, al di là dei tecnicismi elettorali, vincendo anche nettamente il voto popolare rispetto alla candidata del Partito Democratico. Ed ha vinto sulla base di un programma confuso ma con molti aspetti decisamente non “democratici”, come l’annuncio della persecuzione di quei funzionari pubblici che (perché è il loro mestiere) avevano indagato sull’assalto al Campidoglio del 2021. Molti degli atti compiuti dopo l’insediamento confermano una decisa tendenza autoritaria ed autocratica (come, da ultima, la richiesta ai funzionari federali di spiegare cosa hanno fatto al lavoro la scorsa settimana, con minaccia di licenziamento a chi non risponde), che contrasta in maniera evidente con il sistema democratico.
Un dato comune a queste forze che possono essere definite in molti modi, anche perché diverse tra loro, è comunque la tendenza al nazionalismo nel suo senso più negativo, inteso come chiusura in sé stessi, come tendenza a bloccare la cooperazione internazionale, a fermare le migrazioni, con uno sguardo anche ad una possibile autosufficienza militare, alimentare, economica.
Ecco, è qui che invece questi progetti rischiano di più. Non si è mai visto, in occidente almeno, uno stato autoritario, o antidemocratico, che insomma limita la democrazia in maniera evidente e generalizzata, avere un successo economico di qualche peso. Perché il capitalismo, che è il sistema economico diffuso in Occidente, e che è cresciuto, di fatto sulla crescita dei sistemi democratici, ha bisogno di spazio, di aria, di scambi e di incontri, sennò implode, sennò non può esprimere e sviluppare la sua forza. Ora, il discorso sul capitalismo e sul suo costo sociale va fatto in altra sede, però non si può negare la sua forza nella vita economica globale.
Chiudere i mercati, ma anche costringerli ad una via di sviluppo innaturale, vuol dire ucciderli. E dunque gli attori di questi mercati non possono accettarlo, non i produttori e neanche i consumatori, che si troverebbero di fronte a scarsità di alcune merci o costi elevati per altre.
L’incontro tra i sistemi democratici ancora funzionati (come il Germania) e le esigenze dei capitalisti (come negli Usa, dove per altro la struttura democratica ancora esiste ed è vitale) potrebbero essere la miscela che salverà la democrazia (oltre che gli interessi del capitale!), perché, in questo momento, gli uni e gli altri sono strettamente legati, e, di fatto, condividono un’interesse per un mondo aperto e collaborativo.