Bruxelles – Come ci si arriverà e ancora tutto da vedere, ma è certo che domani la riunione dei ministri dell’Interno Ue adotterà la decisione sul ricollocamento di 120 mila rifugiati. Ulteriori ritardi non sono tollerabili e non saranno tollerati quindi o i Paesi recalcitranti si piegheranno a trovare un compromesso o saranno piegati con un voto a maggioranza qualificata. Tra la maggioranza dei Paesi Ue “c’è un accordo molto solido e fermo” su questo, assicurano fonti Ue escludendo il rischio di un nulla di fatto. Questo non significa che la discussione sarà semplice: se i Baltici sono ormai pronti a collaborare e la Polonia, dopo le proteste, ora “sta cercando la modalità per partecipare” al meccanismo, ancora resta da capire cosa faranno domani i ministri di Romania, Repubblica ceca e Slovacchia, ancora fortemente contrari. La Repubblica ceca ha addirittura sottolineato che le quote potrebbero essere illegali e ha avvertito che il Paese “sta valutando la compatibilità giuridica a livello nazionale, europeo ed internazional”.
Discorso a parte merita l’Ungheria: Budapest rimane ferma nella decisione di non volere beneficiare del meccanismo di ricollocamento che la alleggerirebbe di 54mila rifugiati e che considera un “pull factor” che attirerebbe i migranti. Allo stesso tempo però dovrebbe accettare di accogliere il numero, comunque esiguo, di migranti che le spettano (306 dall’Italia e 988 dalla Grecia).
Ancora in queste ore i rappresentanti permanenti dei Ventotto sono al lavoro per tentare di limare la bozza fino a renderla accettabile per tutti: sono scomparsi i riferimenti all’obbligatorietà delle quote ed è scomparsa la chiave di ripartizione immaginata dalla Commissione (quella secondo cui contavano per il 40% la popolazione per il 40% il Pil e per il 10% ciascuno gli sforzi fatti in passato sull’immigrazione e il tasso di disoccupazione). Un restyling più di facciata che di sostanza visto che il criterio individuato dalla Commissione resta comunque alla base dei numeri che si faranno domani e visto che le quote (anche se la parola è assolutamente vietata), una volta approvate, saranno tutt’altro che volontarie.
Questo uno dei punti di maggiore discussione: un Paese può sottrarsi in qualche modo all’accoglienza? La risposta è no, o almeno non completamente: l’ipotesi che uno Stato non accetti nessun rifugiato è fuori discussione. Quello che si sta tentando di mettere a punto sono piuttosto delle “clausole di salvaguardia”. E cioè: in circostanze motivate ed eccezionali uno Stato potrà “temporaneamente” evitare di fare il suo dovere. Allo studio ci sono due diverse ipotesi. Una è un meccanismo di compensazione finanziaria che consentirebbe ad un Paese di potere rifiutare di prendere fino al 30% dei migranti che gli spettano, versando in cambio 6.500 euro al fondo asilo e immigrazione per ogni migrante “rifiutato”. L’altra opzione allo studio è un meccanismo temporale che consenta di rimandare l’accoglienza fino a 6 mesi di tempo. Questa è l’opzione per cui spingono Germania, Francia e anche la stessa Italia. Al netto delle clausole di salvaguardia, comunque, per gli Stati che non dovessero adempiere ai propri obblighi, partirebbero procedure di infrazione.
Altro nodo di non facile soluzione è cosa accadrà con i 54mila ricollocamenti che dovevano avvenire dall’Ungheria ma ai quali Budapest si oppone. Al momento l’idea è quella di tenere il numero come “riserva” in caso di afflussi improvvisi di rifugiati verso altri Paesi Ue e di mettere in atto un meccanismo di monitoraggio per capire di volta in volta quale Stato dovesse averne bisogno. Se nel giro di diciotto mesi nessuno dovesse averne avuto bisogno a beneficiarne dovrebbero essere automaticamente Italia e Grecia.
Sui 54mila insomma non ci saranno cifre di ripartizione precise. Ma sui migranti provenienti da Italia e Grecia i numeri sono già nero su bianco. Dei 15.600 che si era già deciso di “sottrarre” all’Italia 4.027 andranno alla Germania e 3.064 alla Francia, 1.896 alla Spagna e 1.201 alla Polonia. Berlino e Parigi faranno la parte del leone anche nell’accoglienza dei rifugiati dalla Grecia: la Germania ne prenderà 13.009 e la Francia 9.898. All’accoglienza parteciperanno anche Irlanda e Danimarca (che come la Gran Bretagna godevano della possibilità di opt-out ma hanno deciso di non usufruirne) e anche la Svizzera. In tutto si arriverà alla cifra dei 120mila, stabilendo cifre certe di accoglienza che ciascun Paese dovrà rispettare e senza replicare il meccanismo di “offerta” di accoglienza che si era messo in atto a luglio e che ha portato al fallimento dell’accordo per arrivare ai 40mila ricollocamenti.
Su come stabilire la destinazione di ogni migrante poi è ancora tutto da decidere: nella misura del possibile si dovrebbe tenere conto anche della volontà espressa dagli stessi migranti e di eventuali ricongiungimenti familiari. Ma evitando di creare una sorta di “asylum shopping”, visto che per chi fugge da una guerra un rifugio sicuro in un qualsiasi Paese Ue dovrebbe essere offerta da non rifiutare.
Il meccanismo che, a forza o per consenso, sarà approvato domani farà da base per il meccanismo permanente che la Commissione ha assicurato di volere proporre entro la fine dell’anno? Questo è il vero cuore del problema. A motivare le resistenze degli Stati che lottano per fare escludere dalla bozza ogni riferimento alle percentuali della chiave di ripartizione dell’esecutivo Ue è proprio la volontà di evitare di gettare fondamenta sicure per un meccanismo stabile. Segno che quello di domani sarà solo un primo passo, ma la strada verso una soluzione strutturale al problema sarà ancora lunga.