Bruxelles – Più che un vero confronto, tanti monologhi uno in fila all’altro: è quello che a volte capita ai dibattiti del Parlamento europeo, quando gli eurodeputati entrano ed escono dall’aula limitando la presenza solo al momento in cui è programmato il loro intervento. Dalla prossima sessione plenaria, dal 20 al 23 gennaio, l’Eurocamera testerà una prima soluzione: la lista degli oratori non sarà più resa nota in anticipo, costringendo di fatto chi vuole prendere parola a seguire i colleghi almeno fino all’arrivo del proprio turno.
Il nuovo formato verrà sperimentato in due dei dibattiti più importanti della sessione, nei quali verosimilmente non si porrebbe in alcun caso il problema dell’assenteismo. Quelli sulle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo e sulla necessità di far rispettare ai giganti delle piattaforme digitali la legislazione europea. Entrambi i dibattiti prevedono la partecipazione della Commissione e del Consiglio. In sostanza, dopo il primo round di interventi degli oratori a nome dei gruppi politici, tutti gli altri deputati che hanno richiesto spazio di parola saranno chiamati da chi presiede la seduta senza un ordine prestabilito noto. Gli eurodeputati potranno vedere, esclusivamente sugli schermi nell’Aula, solo i nomi dei primi due oratori in attesa.
“È un test e l’esito sarà valutato dalla presidente e dai leader dei gruppi politici di conseguenza“, ha sottolineato Delphine Colard, portavoce del Parlamento europeo. La proposta è stata avanzata dalla stessa presidente, Roberta Metsola, nel tentativo di “aumentare l’attrattività dei dibattiti in plenaria”, e approvata dai capigruppo nella Conferenza dei Presidenti (CoP), l’organo che riunisce appunto presidente dell’Eurocamera e leader dei gruppi politici.
A dire il vero, l’input è stato lanciato lo scorso dicembre da una sessantina di eurodeputati, che hanno recapitato una lettera a Metsola con un una serie di proposte su come migliorare la partecipazione e la rilevanza dei dibattiti. Tra queste, anche la ben più impegnativa idea di istituire “quote obbligatorie” di partecipazione per ogni gruppo politico. Una proposta, quest’ultima, che rischia di non tenere in conto la complessità dei lavori dell’Eurocamera, che non si esauriscono nei dibattiti in sessione plenaria, ed in cui costringere un eurodeputato che si occupa di sicurezza e difesa a partecipare ad esempio ai dibattiti sulle quote di pesca nel Mar Baltico lascia decisamente il tempo che trova. Per garantire una presenza cospicua durante le votazione, il regolamento prevede già che gli eurodeputati che partecipano a meno della metà delle votazioni per appello nominale ricevono la metà dell’indennità giornaliera prevista.
Come evidenziato da Simon McKeagney, portavoce del gruppo dei Verdi, “al di fuori dei dibattiti in plenaria accadono altre cose, riunioni delle commissioni parlamentari, incontri con organizzazioni e altri attori”. Non si tratta “solo di persone che vanno a pranzo e a cena” nell’elegante città francese di Strasburgo, ha aggiunto McKeagney. Se per le quote obbligatorie sembra esserci poco spazio, i gruppi hanno accolto – chi con una punta di scetticismo – l’esperimento previsto per la prossima settimana. “Si tratta di un test, ma ovviamente qualsiasi misura che favorisca dibattiti reali e costruttivi è ben accetta“, hanno dichiarato dalla famiglia socialdemocratica, mentre secondo i liberali di Renew “la presenza attiva nell’emiciclo è sempre un segno positivo, ma resta da vedere se questo è lo strumento giusto”. Popolari e conservatori rimandano ogni giudizio alla prossima conferenza dei presidenti: “È un test, vedremo come funziona”, hanno dichiarato i portavoce.