Bruxelles – “Per la prima volta in dieci anni abbiamo la prospettiva realistica di portare al traguardo nel corso di questo mandato”, cioè entro il 2029, non uno ma “altri due o tre Paesi” candidati ad entrare nell’Unione europea. Ne è convinta Marta Kos, la commissaria all’Allargamento del secondo Collegio von der Leyen. Ma, pur ricordando come questa “finestra di opportunità” sia stata aperta dall’invasione russa dell’Ucraina, ha ribadito che “non ci saranno sconti geopolitici” verso alcuni Paesi rispetto ad altri, poiché “il processo di allargamento rimane basato sul merito“.
Parlando agli eurodeputati della commissione Affari esteri (Afet) all’emiciclo di Bruxelles stamattina (14 gennaio), la commissaria slovena ha tenuto il punto soprattutto su due elementi chiave, intorno ai quali ha promesso di incentrare il suo operato nei prossimi cinque anni.
Valori europei e “merito”
Da un lato ha sottolineato che – nonostante l’allineamento alle posizioni della politica estera e di sicurezza comune sia fondamentale (come ricordato, lo scorso ottobre, dall’allora Alto rappresentante Josep Borrell durante la presentazione del Pacchetto allargamento 2024), a partire dall’adozione delle sanzioni comminate da Bruxelles contro la Russia – è altrettanto necessario che i Paesi candidati rispettino “i valori europei”.
Cioè quelli sanciti dall’articolo 2 del Trattato (Tue), definito da Kos “la pietra angolare dell’allargamento“. Tra questi si annoverano il rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali, inclusi quelli delle minoranze, così come la tutela della democrazia e dello Stato di diritto. “Se seguissimo la geopolitica”, ha ragionato, “avremmo già fatto entrare tutti i Paesi candidati“.
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D’altro canto, la commissaria ha rimarcato la fondamentale dimensione di reciprocità nel concetto di “merito”, chiarendo che entrambe le parti che portano avanti il processo di allargamento devono profondervi impegno. Non solo, dunque, i Paesi candidati devono dimostrare la propria serietà mettendo in campo le riforme necessarie per l’allineamento ai valori comunitari e ai criteri di Copenaghen. Ma, allo stesso tempo, tale meritocrazia riguarda “anche noi, gli Stati membri”, poiché se i candidati “si dimostrano all’altezza, devono poter aderire” all’Unione senza finire in un limbo di attesa indefinita.
La bacchettata alle cancellerie è arrivata soprattutto in relazione al lavoro del Consiglio: lungo l’intero processo negoziale, ha ricordato, “servono 150 decisioni all’unanimità perché un Paese candidato diventi membro“, pertanto è vitale che quelle decisioni non diventino l’occasione per un braccio di ferro politico tra i governi nazionali, i quali dovranno al contrario mostrare ambizione e visione nei prossimi mesi e anni. “L’allargamento è soprattutto un lavoro degli Stati membri“, ha ripetuto: “Noi come Commissione possiamo lavorare sul piano tecnico, ma politicamente è una decisione dei governi”.
Una possibile roadmap?
Riguardo alle tempistiche, Kos ha detto di auspicare l’apertura “di uno o due cluster con l’Ucraina e la Moldova” entro la fine del semestre di presidenza polacca dell’Ue (in scadenza il 30 giugno), nonché “progressi su diversi altri cluster e capitoli nei Balcani occidentali“. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avrebbe chiesto alla commissaria “di aprire tutti i capitoli negoziali quest’anno”, ha raccontato al suo pubblico, per poi aggiungere che “il problema non è aprirli ma chiuderli“, perché “le riforme devono essere sostenibili”. L’ex repubblica sovietica, che da quasi tre anni si sta difendendo dall’aggressione russa, sta correndo per avvicinarsi a Bruxelles, e secondo l’esecutivo comunitario avrebbe buone prospettive di riuscirci nel breve-medio periodo.
Kos ha espresso fiducia nel fatto che sia Kiev sia Chisinau – quest’ultima definita sotto “ricatto energetico” da parte di Mosca, visto che da inizio gennaio non arriva più il gas che prima transitava attraverso l’Ucraina – possano aprire il primo cluster (capitoli fondamentali) e il capitolo 31 (politica estera) nel corso del 2025, “se loro manterranno le loro promesse e se noi concluderemo con successo la procedura in Consiglio”.
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Nella regione balcanica (dove sono in arrivo i 6 miliardi di euro del Piano per la crescita elaborato dalla Commissione europea), sono ufficialmente candidati Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del nord, Montenegro e Serbia, mentre il Kosovo è un potenziale candidato. Tra questi, solo Belgrado non ha ancora avviato formalmente i negoziati, ma i capifila sono senza dubbio Tirana e Podgorica: “il Montenegro punta a concludere il processo negoziale entro la fine del 2026 e l’Albania entro la fine del 2027”, ha dichiarato la commissaria, riconoscendo che la strada è in salita e ripetendo che “il successo dipende anche dagli Stati membri”.
Le sfide dell’allargamento
Ma ci sono altri Paesi dove non si sono registrati progressi, anzi. Oltre alla Serbia, il cui governo continua a mantenere posizioni ambigue soprattutto rispetto al rapporto con la Russia e la Cina, c’è il caso della Georgia – che, assicura Kos, “sarà prioritario” durante il suo mandato. Ciò che sta accadendo a Tbilisi “ci ricorda con chiarezza che il percorso verso l’adesione all’Ue non è facile e che le battute d’arresto possono verificarsi“, ha ammesso la liberale slovena, rammaricandosi del fatto che “le autorità georgiane continuino ad allontanarsi dall’integrazione nell’Ue”.
L’esecutivo filorusso di Tbilisi ha formalmente sospeso i negoziati con Bruxelles a fine novembre, scatenando un’ondata di proteste senza precedenti che durano ormai da più di un mese e mezzo, anche se in realtà la procedura d’adesione era già stata congelata dall’Ue lo scorso giugno.
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E l’Armenia? “Accoglieremo la domanda d’adesione se verrà fatta“, ha dichiarato Kos in riferimento alla recente mossa del premier Nikol Pashinyan (il quale ha recentemente annunciato l’imminente presentazione un progetto di legge per l’adesione all’Ue), rendendosi peraltro disponibile a recarsi a Yerevan “per vedere di cos’hanno bisogno”.
Rivedere le regole
In generale, tuttavia, l’esecutivo comunitario sembra ottimista. Sicuramente, per Kos “dobbiamo preparare l’Unione all’ingresso di nuovi membri“, poiché un club europeo a 30 o più partecipanti non può mantenere le stesse regole che si era dato quando di soci ce n’erano solo 12. Ma anche in questo caso, ha notato la commissaria, la palla è nel campo dei Ventisette, poiché le riforme istituzionali (soprattutto quelle che richiedono la revisione dei trattati, da approvare all’unanimità) hanno bisogno del supporto politico delle cancellerie.
Infine, ha aggiunto, bisogna trovare un modo affinché le questioni bilaterali tra Paesi candidati e Stati membri (ad esempio quelle tra Macedonia del nord e Bulgaria, o quelle tra Turchia e Cipro) possano venire risolte quando emergono senza che dirottino l’intero processo negoziale. Insomma, le potenzialità ci sono, ma serve una dose non indifferente di volontà politica per realizzarle.