Bruxelles – Da oltre un mese, il presidente neo-rieletto degli Stati Uniti Donald Trump sta segnalando a Vladimir Putin la propria disponibilità a sedersi al tavolo delle trattative per negoziare la fine della guerra in Ucraina. E ora, a ridosso dell’insediamento ufficiale del tycoon newyorkese e mentre l’esercito di Kiev appare incapace di respingere l’avanzata russa, è iniziata la gara tra le cancellerie europee per ospitare a casa propria i colloqui di pace.
Il primo a lanciare la propria “candidatura” è stato il mese scorso il primo ministro slovacco Robert Fico, che in occasione di una controversa visita pre-natalizia a Mosca ha proposto di organizzare a Bratislava quello che sarà senza dubbio il vertice del decennio tra Donald Trump, il cui ritorno alla Casa Bianca è fissato in calendario per il prossimo 20 gennaio, e il presidente russo Vladimir Putin.
Lo scorso giovedì (9 gennaio), il tycoon ha ribadito che il suo futuro omologo vorrebbe un incontro e che “lo stiamo organizzando”. Dal Cremlino hanno fatto sapere che il leader della Federazione è aperto all’idea e che non ci sono condizioni da soddisfare per far sedere al tavolo i due.
Così, ieri (12 gennaio) è stato il turno della Svizzera, la cui tradizione di neutralità la qualificherebbe come cornice ideale per eventuali colloqui, e della Serbia, uno dei Paesi del Vecchio continente più vicini al Cremlino. Il ministero degli Esteri elvetico ha chiarito che Berna potrebbe concedere un permesso particolare a Putin, nei confronti del quale la Corte penale internazionale ha spiccato nel marzo 2023 un mandato di cattura, per consentirgli di prendere parte ai negoziati.
![Fico Putin](https://www.eunews.it/wp-content/uploads/2024/12/000_36R98K8-scaled-e1734950238109-1024x672.jpg)
Quello relativo al mandato della Corte dell’Aia è in effetti un problema che avrebbero tutti e tre i Paesi che hanno finora segnalato l’intenzione di ospitare i colloqui. Anche se, come dimostrato dal caso della visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu in Polonia, quella di dare seguito o meno ai mandati di arresto internazionali è una decisione eminentemente politica, a prescindere dall’obbligo giuridico che sta teoricamente in capo ai Paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma (il trattato del 1998 che istituì la Cpi).
Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha descritto Belgrado come una sede “estremamente adatta” per accogliere l’importante iniziativa diplomatica, sottolineando la grande popolarità di cui entrambi i leader godono nello Stato balcanico. “Non c’è nessun Paese che possa essere paragonato alla Serbia in termini di livello di sostegno al presidente Trump“, ha dichiarato Vučić alla tv nazionale, osservando allo stesso tempo che “il presidente Putin è ancora molto, molto popolare” e sottolineando che Belgrado si qualificherebbe come sede ideale in quanto – a differenza di Bratislava, ma non di Berna – non fa parte della Nato.
Qualunque sarà la località prescelta, comunque, appare evidente che con l’insediamento di Trump il processo negoziale per la fine delle ostilità in Ucraina subirà un’accelerazione. Ne sono consapevoli soprattutto le autorità di Kiev, che non stanno riuscendo a respingere l’offensiva russa sul campo e potrebbero dunque essere costrette a cedere una porzione consistente di territori in cambio della pace.
Il presidente dell’ex repubblica sovietica Volodymyr Zelensky ha ammesso negli scorsi mesi che le regioni occupate non potranno essere liberate militarmente da Kiev, e sta chiedendo insistentemente ai suoi alleati occidentali di fornire al Paese aggredito delle solide e credibili garanzie di sicurezza come deterrente contro eventuali futuri attacchi da parte di Mosca.